CHICKEN PARK - Jerry Calà contro il cinema



Essenzialmente, Chicken Park è un compendio, o per meglio dire, la manifestazione concreta e tangibile che riassume ed esplicita in modo pressoché perfetto il pensiero del maestro René Ferretti: "A noi la qualità c'ha rotto er cazzo!". Chiaro e semplice. Il sottoprodotto di un sottoprodotto i cui massimi complimenti spendibili, oscillano nello spettro di una scala che va da sconcertante ad agghiacciante.

Sì, però, così è appunto troppo, troppo semplice: ché per Chicken Park, "brutto film" è una definizione assolutamente riduttiva; una parafrasi esemplificata agli estremi. Un po' come dire che a scoppiare, una bomba atomica causa bei danni. Ecco, metterla in questo modo, certo non renderà mai l'idea dell'assoluta devastazione e delle catastrofiche conseguenze di un'esplosione atomica. In questo senso, dire che Chicken Park è un brutto film, non renderà mai pienamente l'idea di cos'è in realtà.

Mettiamola in questo modo: a volte, quando le stelle s'allineano e i pianeti assumono la giusta configurazione, capita di vedere storie che non sono storie filtrate dagli spazi attigui alla nostra realtà. Perché esistono storie che non esistono e che nessuno, fondamentalmente, mai dovrebbe raccontare. Tipo The Room: scritto, diretto, prodotto e pure interpretato da Tommy Wiseau. Un tizio, 'na specie di zombie a guardarlo bene, di cui si sa poco o nulla.

Non è chiaro quale sia il suo vero nome, né da dove venga o quanti anni abbia di preciso. In diverse interviste si è sempre limitato a dire di essere cresciuto a New Orleans e poi di aver vissuto in Francia "molto, molto tempo fa". Per il resto, la maggior parte delle informazioni su di lui vengono dall'autobiografia The Disaster Artist: My Life Inside the Room, scritta da Greg Sestero, co-protagonista in The Room. Il problema sta proprio in questo.

Cioè, le cose riportate da Sestero, così come molti altri dettagli sulla vita personale di Wiseau, rimangono non verificati; e come tali oggetto di speculazioni. L'unica cosa certa è che un giorno, 'sto Wiseau s'è presentato con pacchi di soldi - a detta sua "risparmi accumulati negli anni", una vera e propria fortuna di cui nessuno si spiega la provenienza a detta di chi l'ha conosciuto - e ha creato The Room: in assoluto il film più brutto mai realizzato nella storia del cinema.  

Sì, ok, perfetto; ma che c'azzecca tutta 'sta pappardella con Chicken Park? 
Aspe', mo c'arriviamo subito.

Allora, Chicken Park inizia con un bel prologo che ci mostra L’Isola delle Uova Marce; e già questo è tutto un che dire, insomma. Aperta e chiusa parentesi: in alcune versioni il sottotitolo è in inglese perché il film è stato recitato in inglese. Poi, doppiato in italiano. Questo perché c’era solo la pretesa di sfondare nel mercato americano. Comunque. Sull’isola (delle uova marce) un gruppo paramilitare supervisiona la costruzione del misterioso “Chicken Park”. 

I lavori sembrano procedere bene, la manovalanza che ride e che scherza, battute finissime frutto di una comicità ricercata, riguardo "uccelloni affamati", si sprecano... Qualcosa di sinistro, però, sta per accadere: qualunque cosa si nasconda nel fitto della foresta, spaventa a morte i lavoratori che fuggono via. Cosicché, i militari li inseguono e li freddano sul posto. Esattamente come viene freddata la fiducia di chiunque nei confronti dell'umanità, in appena cinque minuti di 'sto film. 

Infatti, il tipo che tanto faceva lo splendido parlando del suo "uccello", prima di schiattare, libera veramente il suo uccello. Cioè, un parrocchetto che teneva nascosto nei pantaloni. Dopo questa, diciamo che ce ne vuole di forza di volontà per evitare di sputare contro lo schermo. Stacco. Siamo in Italia. Jerry Calà è Vladimiro Corsetti, un allevatore-allenatore di galli da combattimento.

Per tutta una serie di problematiche legate alla slealtà della concorrenza, Vladimiro si vede costretto a spostarsi nella Repubblica Dominicana con Joe, un gallo da combattimento su cui ormai ha puntato tutto. Ora attenzione, eh, ché arriva il meglio: per arrivarci, nella Repubblica Dominicana, giustamente ti devi prendere l’aereo, no? A parte una non proprio convintissima Alessia Marcuzzi, sull’aereo una fila è per i normali, l’altra è riservata ai mostri.

Capito? Perciò, quando va a sedersi, il posto accanto a Vladimiro che pareva vuoto invece è occupato dall’uomo invisibile. Perché quella era la fila dei mostri. Eh, ce l'ha un minimo, almeno, di senso 'sta cosa? No. Assolutamente no. Esattamente come senza il benché minimo nesso logico, o magari solo contestuale, vengono parodiati: Mamma ho perso l’aereo, Il Cacciatore, Apocalypse Now, finanche Taxi Driver e Balle Spaziali.

Una vera e propria overdose di nonsense sparata a palla dritta nelle retine in circa dieci minuti; più, come se non bastasse, annegata in un trionfo d’imbarazzanti (già all'epoca) stereotipi razziali. Se non fosse ancora sufficientemente chiaro, il problema riguarda una totale incapacità di fondo. La commedia, qualunque essa sia, tutto è tranne che un genere facile e per funzionare, per essere efficace, richiede degli sforzi e delle abilità notevoli. 

Non importa che si tratti di slapstick, iperbolica, non sequitur, aggressive o un qualunque altro tipo: la commedia richiede una scrittura forte, un’alta capacità recitativa e soprattutto, un senso dello spazio e dei tempi perfetti. In Chicken Park, non c’è niente di tutto questo. Al contrario, il punto massimo concepibile della comicità, qui sta nel fatto che per parodiare qualcosa basta semplicemente nominarla e/o copiarla; che poi abbia un senso o no nell'economia della situazione è un dettaglio.

Appunto, su carta Chicken Park dovrebbe essere una parodia di Jurassic Park, perciò a un certo punto Joe viene rapito e così, Vladimiro, disperato, si mette sulle sue tracce. Seguendo i rapitori, alla fine arriva al Chicken Park, una struttura-zoo-laboratorio, dove si eseguono esperimenti genetici per riportare in vita polli preistorici da esibire come attrazione. In questo caso, Joe serviva come cavia di partenza per dare vita a un nuovo tipo di pollo gigante.

Metti che se fino a questo punto le cose faticavano parecchio a trovare un minimo di senso, qua se ne vanno direttamente dritto per dritto all'aceto. Arrivati al Chicken Park, il film, di botto, smette di essere una parodia di Jurassic Park e diventa una parodia della Famiglia Addams. Di Edward mani di forbice. Di Hot Shots!. Santo. Cielo. Il delirio più totale dove il clou, il momento topico si raggiunge col finale: lo scontro fra il "Pollo-Rex" e il "Pollo-Ibridus". 

Cioè, degli accrocchi a forma di gallina sulla falsariga degli animatroni usati in Jurassic Park - che qualcuno ha creduto sul serio potessero funzionare - di una tenerezza disarmante, usati per questa sequenza in cui, uno, il Pollo-Rex, vuole ingropparsi la Dottoressa Sigourney; ovvero Demetra Hampton. Mentre l'altro, il Pollo-Ibridus è... omopollosessuale e si vuole montare Jerry Calà. Infatti, c'ha pure orecchino e look alla Elton John per farlo capire meglio.

Ora, il fatto è che la trama di 'sta follia da 2 Miliardi delle vecchie Lire è tranquillamente riassumibile in circa 72,8 secondi; forse pure qualcosina di meno. Perciò quel running time di 96 minuti fa sembrare il film pazzescamente lungo. Perché in sé, sono tutte sequenze appiccicate a casaccio e trascinate avanti, senza senso, per quelle che a un certo punto sembrano ore. Capiamoci, da una parodia in generale, uno non è che s'aspetta di vedere Shakespeare o quantomeno Tolstoj, insomma.

Giusto un pochino di coerenza, però, quella sì. Perché già il ritmo è completamente sballato e oltremodo pesante così com'è, con tutta quella roba appiccicata a casaccio. Nel momento in cui, poi, in meno di un'ora la storia abbandona il fil rouge di Jurassic Park per trasformarsi così, di botto e senza senso, in una parodia della Famiglia Addams portando a un cambiamento improvviso nei toni, cioè, non ci vuole la scienza per capire che 'na roba simile non potrà mai funzionare.

Questo è il punto: Tommy Wiseau è stato in grado di superare persino Ed Wood. Esattamente come i cenobiti, capaci d'infliggere un dolore tale da trascendere l'esperienza umana fino a trasformarsi in un'estasi al di là di ogni comprensione, così The Room è un film talmente brutto da essere stato in grado di trascendere il concetto stesso di bruttezza e andare addirittura al di là del tanto brutto da essere bello. Un dolore al di là di ogni comprensione, tale da trasformarsi in piacere puro, appunto.

Chicken Park è più di un'anomalia; è un caso più unico che raro di delirio trash che non ha eguali nel panorama del cinema italiano e con cui, pochissimi al mondo, possono effettivamente confrontarsi. A partire dagli effetti speciali anni '50 che lo rendevano anacronistico già trent'anni fa, fino alle sue scene di sensualità pecoreccia e disturbante. Passando, ovviamente, per tutti quei tentativi meta-cinematografici che cadono a letteralmente piombo.

Tipo, quando entra in scena "la prima" Dottoressa Sigourney: per il sacrosanto principio che una donna non può essere sia bella che intelligente, questa è un cesso a pedali con cambio shimano e dentatura fuoristrada. Perché, si sa, no, le scienziate sono tutte brutte. Allora Jerry - ricordiamoci sempre che lui non è bello, piace; pure col riporto fatto coi peli delle ascelle - ci mette la pezza bucando schermo, quarta parete e ne piglia un’altra.

Un'altra, ma proprio a caso, fra il pubblico in sala che sta meta-narrativamente guardando Chicken Park. Quindi Demetra Hampton - all'epoca una maialona d'assalto di proporzioni stellari -  entra nel film, si cambia facendo uno spogliarello ed ecco la nuova Dottoressa Sigourney. Genio. Puro, purissimo genio. Ora, Chicken Park non è mai arrivato a vedere il buio delle sale e questo male. Perché questo è il nostro The Room. Questo è il nostro Quarto potere dei film brutti.

Chicken Park è meglio de Gli occhi del cuore e il mondo intero deve riconoscercela 'sta cosa.


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.

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