SIGNS - CAMPA ALIENO CHE L'ERBA CRESCE



Quando, nell’ormai lontano 2002, uscì Signs di M. Night Shyamalan, fu subito un gran successone. Dopo 'sto paio di colpi ben piazzati, cioè Il sesto senso e Unbreakable, con Signs in molti arrivarono addirittura a definire Shyamalan “il nuovo Steven Spielberg”.

Shyamalan di qua, Shyamalan di là... Tutti lo acclamavano e pareva scoppiata 'na specie di Shyamalamania. Il perché è facile da capire, in fondo: i film di Shyamalan rappresentavano il diverso, erano la novità. 

All'epoca, la maggior parte delle grosse produzioni erano, ovviamente, tutte omologate: vacui action-thriller che alla lunga si somigliavano tutti. L’unica differenza sostanziale stava nel potere del dio denaro. Tanti più dinero c’era per il mezzo, tanti più effetti speciali e scene d’azione si potevano ficcare dentro.

Una situazione in crescendo, che portava a preferire sempre più la forma alla sostanza. Perciò un film che non fosse per 3/4 'na serie d’inseguimenti, esplosioni e scene di mazzate tenuti insieme da una trama scritta su un post-it, chiaro che rappresentasse una novità.

Tuttavia, non è mai facile, soprattutto sull'internet, parlare di qualcosa largamente apprezzato dai più. Specie quando il tuo parere fa a cazzotti con il resto del mondo. Ciò non toglie, con buona pace di tutti, che Signs è un film veramente discutibile. Tanto per usare un simpatico eufemismo.


Quindi, Signs inizia con il pastore Graham Hess (Mel Gibson) e la sua famiglia, composta dai due figli, Morgan (Rory Culkin, fratello minore di Macaulay) e Bo (Abigail Breslin), e suo fratello Merrill (Joaquin Phoenix) ex giocatore di baseball che vive con loro.

Mentre tutti sono occupatissimi a fare... praticamente niente, Bo fa uscire tutti di casa urlando come 'na dannata. Naturalmente, il padre e lo zio corrono per vedere cosa diavolo stia succedendo e quando i due arrivano, trovano Bo evidentemente spaventata. 


Poco più in là c’è il fratello Morgan, con 'na faccia (per tutto il film) da stoccafisso morto che Mercoledì Addams pare Paris Hilton sbronza a 'na festa. Comunque. La camera si solleva e con 'sta bella inquadratura panoramica dall’alto, la rivelazione: cerchi nel grano.

Spaventosi cerchi, metti, vista la reazione quasi psicotica che ha avuto la bambina. Cioè, uno capisce il pathos, la tensione e via dicendo. Però, dal punto di vista della bambina, di fronte a lei dovrebbe esserci semplicemente una distesa di steli di grano piegati a terra. 


Quindi, se ci pensi giusto un attimo, non è nulla che possa giustificare una reazione così forte. A ogni modo, vista e considerata la storia dei cerchi, Graham chiama la polizia, cioè, la “sceriffa” della cittadina. 

Sorvolando su quanto sia sfruttata male e stereotipata la figura dello sceriffo di provincia, nonché il tentativo di dargli giusto un tocco di originalità ricorrendo alle quote rosa, c’è 'na cosa che a 'sto punto  disturba non poco: i dialoghi.


Quando l’agente Paski (Cherry Jones) arriva a casa di Graham, l’intera sequenza regge su una linea di dialogo totalmente slegata dal contesto. In cui il personaggio della Jones ciarla di com'è dovuta intervenire per calmare una vecchia entrata nel negozio di attrezzature sportive del paese.

Partendo, poi, a raccontare di come la vecchia s'era messa a sputare come un lama sugli skateboard esposti. Ecco, 'sta cosa dei dialoghi esterni alla trama, viene usata spesso anche dai fratelli Coen, in una certa misura; ma nello specifico è una prerogativa della scrittura di Quentin Tarantino


A sua volta, uno dei pochissimi che sia riuscito a imitare lo stile di Elmore Leonard, considerato uno dei migliori dialoghisti di sempre, il cui tratto distintivo era proprio quello di portare avanti la trama dei suoi libri non attraverso passaggi descrittivi, bensì tramite le conversazioni tra i personaggi.

Tanto per capirci, vedi Pulp Fiction: quando Jules e Vincent parlano del Royal con formaggio e Le Big Mac, fino al volo dalla finestra di Tony Rocky Horror per aver fatto un massaggio ai piedi a Mia Wallace. 

Oppure ancora, la sequenza iniziale di Bastardi senza gloria, quando Hans Landa interroga il contadino francese. La natura apparentemente amichevole di Landa è già di suo piuttosto disturbante. Crea tensione. Incertezza. 


Man mano la conversazione va avanti, il personaggio prende una piega sempre più sinistra e il contadino si trova sempre più, come dire... assoggettato. Così, tramite poche linee di dialogo, si ottiene al tempo stesso la dissimulazione del climax, una caratterizzazione e un avanzamento.

In Signs, invece, i dialoghi di Shyamalan non hanno il minimo senso nell’economia della situazione. La scena non ha alcuna rilevanza. Inizia e finisce così com’è iniziata, senza portare da nessuna parte. La si potrebbe anche tagliare e non cambierebbe nulla.

Ci so' pure un altro paio di scene in Signs in cui Shyamalan tira fuori 'sti tocchi di classe, ma casomai le vediamo più giù. Quindi, Graham mostra alla poliziotta il luogo in cui sono apparsi i cerchi e qui viene fuori che il personaggio di Gibson ha... boh, dei poteri da super-padre?


Capiamoci: gli animali della fattoria cominciano a comportarsi in maniera strana (perché poi?), tra cui anche Houdini, il cane degli Hess. Mentre Graham e l’agente Paski discutono, Bo e Morgan restano soli con il cane, che diventa aggressivo ed è sul punto di attaccarli.

Ecco che qui spuntano i poteri da super-padre di Gibson: a millemila km di distanza, nel silenzio più assoluto se ne esce con “… aspetta. Non sento i bambini”. Ora, passi il fatto che quando sono nei pressi tu li tenga d’occhio e perciò, riesci pure a sentirli. 

Però, per come stanno le cose, la scena cosa ti fa intendere? Che il personaggio è in grado di sentire, anzi, di percepire i figli sempre e comunque. Come? Preoccupato, Gibson si precipita (e vista la situazione, aggiungerei senza apparente motivo) alla ricerca dei bambini e cosa trova? 


Il figlio maggiore Morgan che ha seccato il cane, diventato idrofobo (perché?) a coltellate per difendersi. Cioè, la bambina, quasi senza motivo, alla vista di un po’ di mais piegato a terra, urla come un licantropo con le emorroidi. 

Nel momento in cui il fratello, invece, uccide il cane mentre era sul punto di sbranarli non caccia fuori un fiato? Soprattutto, Gibson percepisce il non-rumore dei figli e non sente un cane idrofobo ucciso a coltellate da un bambino?

Sorvolando su questo, c'è un'altra cosa - anzi, facciamo due, va' - che vale la pena sottolineare: la perdita della fede di Graham e il personaggio direttamente responsabile di ciò, Ray Reddy. Interpretato dallo stesso regista, M. Night Shyamalan.


In pratica, il personaggio di Shayamalan s'addormenta alla guida investendo accidentalmente la moglie dell’ex pastore. Il quale, assistendo alla morte della donna, decide di non credere più in Dio. Ok, ma… tutto questo che c’entra con gli alieni?

Sì, sicuramente è interessante nonché giusto il voler dare a una storia un sottotesto e, magari, varie chiavi di lettura usando un dato avvenimento come metafora o immagini con un intrinseco significato allegorico. Assolutamente sì.

Tuttavia, una cosa del genere, inserita in un contesto dove l’avvenimento centrale è un’invasione aliena, non è che alla fine sia tanto sensata. Pensa: nel frattempo i media di tutto il mondo diffondono le immagini di navicelle spaziali nei cieli di varie città. 


Questa dovrebbe essere una cosa epocale, no? Dato che gli extraterrestri sembra stiano preparando a invaderci. Peccato che in Signs, questo è un altro vicolo cieco. L’ennesimo cul-de-sac in cui Shayamalan s'è andato a ficcare. Perché da qui in poi Signs è un crescendo di totale nonsense.

Torniamo un attimo alla questione dei dialoghi, sì? La prima regola, in assoluto, per rendere credibile un personaggio è la coerenza. Immagina una storia in cui ci sono, tipo due spacciatori che parlano di un affare andato male, ok? Bene.

Cosa potrebbero mai dirsi, ma soprattutto in che modo lo direbbero? Ti pare credibile, ti pare coerente un dialogo in cui personaggi del genere in questo specifico contesto, usano un linguaggio forbito esprimendosi come due professori di Harvard? No, eh?


Allora, l’invasione è ufficiale: gli Hess stanno incollati al televisore ad ascoltare gli aggiornamenti e i risvolti della situazione. Vorrebbero registrare quell’avvenimento storico e per farlo, utilizzare la cassetta su cui è registrato il saggio di danza di Bo. La bambina si oppone e che succede?

Il fratellino, Morgan, se ne esce con 'sto pippone clamoroso, tutta 'na menata sull’importanza di quell’avvenimento storico e i significativi risvolti futuri che potrebbe avere sui loro figli. Già il personaggio era poco plausibile, ma così… 


Cioè, un bambino di otto anni non solo in grado di formulare un pensiero tanto complesso, ma esprimendosi addirittura come Tolstòj a un simposio di letterati, ma dove s'è visto mai? Cioè, è credibile? Questo dialogo è coerente con il personaggio? 

In secondo luogo, un altro grosso perché riguarda Ray, il personaggio interpretato da Shyamalan. Già pare strano il fatto che il colpevole di un omicidio colposo continui a mantenere rapporti con la famiglia della vittima, ma tant’è. Soprattutto, se la sua presenza è fondamentalmente superflua.


Sorvolando sullo spoiler tirato fuori a metà film, così, a secco, quando parlando con Graham se ne esce con “penso abbiano problemi con l’acqua”, è ciò che avviene in seguito ad aver poco o nessun senso.

Ray ha imprigionato un alieno nello scantinato di casa e indovina un po’ cosa fa? Invece di chiamare la polizia, l’esercito, l’Fbi o chicchessia, si mette tranquillamente in macchina e se ne va. Avvertendo Graham che se vuole può andare benissimo a buttare un occhio all’essere alieno.


Com’è come non è, dopo l’incontro con l’extraterrestre Graham torna a casa e:

1) Anziché scappare verso un posto più sicuro, decide di asserragliarsi. In un luogo, cioè la casa, in cui per quasi 3/4 di film è stato insistentemente e palesemente mostrato che gli alieni bazzicano là intorno (chissà perché, poi).

2) Il suo grande piano di difesa consiste nel barricare porte e finestre con assi di legno.

3) Il fratello, Merril, gli chiede con giusta ragione se questa sia una buona idea.

E attenzione, ché ora arriva il meglio.


Sull’umanità incombe la minaccia di un’invasione aliena, la cui razza è in possesso di una tecnologia infinitamente più avanzata della nostra. Esseri in possesso di una conoscenza tale da renderli in grado di costruire navicelle interstellari e viaggiare nel vuoto siderale.

Una specie che forse potrebbe presto dominare sulla Terra, affermando la sua indiscutibile superiorità e… niente. Perché i pericolosissimi invasori non sono in grado di tirare giù 'na pulciosa, schifosissima, lurida porta di legno.

Quindi, alla fine com’è Signs? Volendo, Shyamalan e Signs sono un po’ come Icaro e le sue ali di cera. In altre parole, uno che ha puntato troppo in alto, fallendo l’obiettivo. Sicuro, gran parte dei problemi di Signs siano dovuti al successo, quasi improvviso, di M. Night Shyamalan. 


Un regista giovane, di appena trentun anni e con due film di successo all’attivo. Il suo obiettivo con Signs era, perché no, puntare in alto. Il tentativo di far rivivere uno stile classico all’interno di una grande produzione. Se non fosse chiaro, Shyamalan stava provando a essere Alfred Hitchcock.

L’influenza è palese, la si nota sin dall’inizio e in molti punti del film. Lo stile può essere ammirevole, ma il niente più niente come risultato, indovina, fa sempre niente. Non ci vuole molto a capire come si sia fregato da solo: Signs è un film pieno di spazi vuoti.

Ci sono molti modi per mettere in scena un’invasione aliena. Da La Guerra dei Mondi a Independence Day: sul serio, sono ennemila. Shyamalan però ha provato a “ragionare in piccolo”. Troppo in piccolo per un avvenimento tanto ingombrante.


C’è il contadino, i suoi due figli e suo fratello minore. Una piccola crisi spirituale qui, un piccolo legame familiare là… e tutto questo dove porta se non al niente? Ciò che accade fuori è l’avvenimento più grande che l’umanità possa mai vivere. 

Tuttavia, Shyamalan ci costringe a restare bloccati dentro. Nella casa di campagna degli Hess, a guardare la televisione insieme a loro con i cappelli di cartapesta in testa. Sarebbe potuta risultare anche intrigante come cosa, se fosse stata gestita meglio.

Però, così com'è... a un certo punto immaginiamo sia lecito pensare che il finale, visti i presupposti, sarà perlomeno grandioso, giusto? Un colpo di scena tale da farti strozzare con i pop-corn. Invece, Shyamalan è più interessato a metter su 'na blanda metafora sul ritrovamento della fede.


Un ex sacerdote che ritrova la fede durante un'invasione aliena. Il giusto contrappunto, proprio. Concentrandosi su questo aspetto si è praticamente scavato la fossa da solo, ottenendo solo tre (pessimi) risultati.

Innanzitutto, con l’umanità intera alle prese con un’invasione aliena e una probabile battaglia per la sopravvivenza, i problemi di fede di un contadino e la sua famiglia sono completamente, clamorosamente irrilevanti.

In secondo luogo, sul serio vuoi farci credere che un’invasione aliena sia la giusta sovrapposizione a una metafora del genere? Cioè, gli alieni sono in grado di far ritrovare la fede a un uomo di religione che ormai non crede più?


Questo, semmai, dovrebbe essere proprio l'esatto opposto: la prova evidente che non siamo l'unica specie senziente in questo universo, fa praticamente a cazzotti con l'intero concetto di creazionismo e tutti i suoi annessi, connessi e derivati.

Terzo e ultimo punto: Signs, ovvero Shyamalan, chiede veramente troppo allo spettatore. La grande svolta finale riguarda praticamente gli alieni, che percorrono milioni di anni luce per arrivare qui praticamente disarmati. 

Tanto più che vengono ritratti in modo stupido, da non riuscire a fargli aprire una porta o sfondare una finestra tenuta su da un paio d’assi di legno; ma la cosa più grave è nel finale. Come se non bastasse tutto questo, in Signs gli alieni vengono feriti dall’acqua. Per loro è come acido…

Soluzioni tanto superficiali e a tirar via, non fanno altro che rafforzare l'idea che in Signs il tema sia completamente sballato, abbandonato subito in favore della ricerca del colpo di scena a tutti i costi. Così com'è, Signs è solo una bella cornice. 

Lavorata ad arte e di gran pregio, sprecata ficcandoci dentro un quadro scialbo e dozzinale. Probabilmente avrebbe funzionato di più e sarebbe stata una grandissima ghost story.


Ebbene, detto questo credo che anche per oggi sia tutto.


Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.


Commenti

Le due righe più lette della giornata