BLADE - I BEI VAMPIRI DI UNA VOLTA


Dal cassone dei ricordi, più o meno molesti, è cicciato fuori Blade. Film di supereroi che con i suoi centotrenta e passa milioni d’incasso in un panorama rappresentato da altissimi e bassissimi, fu un grosso successo commerciale. Sì, tutto molto bello. Però questo succedeva nel 1998.

La domanda è: a guardarlo oggi, quasi venticinque anni dopo, Blade è ancora un film perlomeno decente? Oppure è 'na roba agghiacciante, da lasciare sepolta nei ricordi di un decennio agghiacciante?

Blade tra vampiri e mode agghiaccianti


Blade, interpretato da Wesley Snipes, comincia con un antefatto in cui vengono narrate le sue origini. In pratica, durante la gravidanza sua madre è stata morsa da un vampiro. Quindi, la… diciamo infezione vampiresca, viene trasmessa pure al feto.

Alla nascita Blade si ritrova con tutti i poteri tipici di un vampiro ma, fatto fondamentale, nessuno dei loro punti deboli. C’è da dire che per il film, s'è optato per un retcon rinarrando ex novo le origini del personaggio, visto che inizialmente era il frutto dell’unione fra un vampiro e una donna umana. 

Strano ma vero, nonostante tutto va dato un punto al film.

Perché, insomma, due minuti bastano e avanzano per introdurre il personaggio. Mica come i cinecomics 2.0 di oggi, che ci mettono due ore per dire le stesse quattro cazzate. Si passa quindi a Blade direttamente adulto, impegnato in una guerra solitaria contro i vampiri. I quali, raggruppati in ‘sta specie di società segrete, complottano per estendere il loro dominio sul mondo.


Allora, pensi, quali astuti sotterfugi, quali machiavellici e complessi piani avranno mai architettato i vampiri per soggiogare l’umanità? Uhm… no, niente. Le discoteche. 

Considerando che la vampira, qui, accreditata come Racquel è l’ex pornostar Traci Lords, anche se non detto chiarissimo, il presupposto è che le potenziali vittime vengano attirate con promesse di sesso, droga e party hard. Seems legit. 

Blade però sa tutto, si presenta in una di queste discoteche-centri per l’impiego e fa 'na strage. Dopodiché, Quinn (Donal Logue), un vampiro a cui Blade ha dato fuoco nella discoteca dove ha fatto irruzione, viene scambiato per una salma qualsiasi e portato all’ospedale. Risvegliandosi proprio nel momento in cui la dottoressa Karen Jenson (N’Bushe Wright) gli sta facendo l’autopsia.

Così, Quinn uccide il collega della dottoressa e poi morde lei vampirizzandola, ma poi arriva Blade che gli fa di nuovo il culo. Mentre sta per andarsene, guardando la dottoressa a terra agonizzante, in piena crisi da complesso di Edipo a Blade gli sale un flash stortissimo in cui vede sua madre in punto di morte. Così, si carica la tipa sulle spalle e la porta nel suo covo segreto.


Ecco, metti che qui le cose cominciano a farsi… insomma, ancora più strane. Ché, a quanto pare, come grande cacciatore di vampiri, Blade è meno affidabile di un cane in una salumeria. Innanzitutto, più e più volte nell’arco dell’intero film ha la possibilità di uccidere Quinn, ma non lo fa mai. Ogni volta lo lascia semplicemente andare, permettendogli poi di uccidere indiscriminatamente.

Sapeva che dargli fuoco nella discoteca non serviva a una beata mazza di niente, altrimenti non sarebbe andato poi a cercarlo all’ospedale. Però lo stesso l’ha fatto portare lì. Tanto più che, non solo lo fa scappare di nuovo, ma sta pure lì lì per lasciare a terra la dottoressa Jenson. Vampirizzata.

Se non fosse stato per il complesso di Edipo (a proposito, com’è che funziona ‘sta cosa che Blade c’ha i flashback della madre che stava morendo durante il parto?) quella era un’altra vampira che, da lì a un paio di giorni, avrebbe cominciato a uccidere a destra e sinistra. Bravo, Blade. Bravo.


Arrivati al covo segreto, viene fuori che Blade ha un partner, Whistler (Kris Kristofferson). Il quale cerca di contrastare il morso iniettando alla dottoressa Jenson lo stesso siero all’aglio che tiene a freno la voglia di sangue di Blade. Visto che adesso i buoni si so’ riuniti, si passa ai cattivi.

Udo Kier è il capo snob generico dei vampiri snob generici, tutti vestiti in giacca e cravatta a complottare, probabilmente, su quante altre discoteche aprire. Però, secondo il cliché preferito della Marvel, tu sai che sono cattivissimi perché si vestono come importanti uomini d’affari. Tramando in una grande sala riunioni in penombra, ovviamente. 

Tuttavia, c’è una voce fuori dal coro: Diacono Frost (Stephen Dorff).

Mentre i vampiri snob stringono mani, lisciano peli e dicono più discoteche, lui non è d’accordo. Perciò si mette in testa ‘sto piano di risvegliare La Magra, specie di antico dio vampiro o 'na roba simile, per trasformare tutti in vampiri e governare il mondo. Quindi… no, quindi niente. Questo è tutto.


Chiaro che chiunque cerchi uno storytelling complesso, una trama articolata o, in generale, una narrazione profonda, con Blade siamo proprio agli antipodi. Ora, la cosa buffa è che riguardando questo film due decenni e passa dopo ti puoi rendere conto che in qualche modo l’insieme è diventato più della somma delle sue parti.

Capiamoci, questa è una cosa che, magari, all’epoca poteva pure passare in secondo piano. Ma oggi, a leggere Blade, scritto da David S. Goyer e diretto da Stephen Norrington, ecco, quei due nomi lì, messi assieme, sono semplicemente da brividi.

Cimabue, Cimabue, fai una cosa, ne sbagli due. Vero che David S. Goyer ha scritto le sceneggiature di Dark City e Batman Begins, anche se in entrambi i casi insieme agli stessi Alex Proyas e Christopher Nolan. Ciò non toglie che rimane la stessa persona che ha scritto il film di Nick Fury con David Hasselhoff. Il corvo 2: City of Angels. Ghost Rider – Spirito di vendetta. Il mai nato. 

Tutte inestimabili perle della cinematografia mondiale, insomma.


‘Spetta però, ché manca ancora il meglio: Blade: Trinity (scritto e pure diretto, tra l’altro), Batman v Superman: Dawn of Justice (ringraziate lui per “MARTHA!!!”) e Terminator – Destino oscuro (il colpo di grazia che ha definitivamente affossato il franchise). Un bijou, proprio.

Stephen Norrington invece, compreso Blade, ha diretto quattro film nella sua carriera. Per qualificarlo, basta il titolo del suo ultimo lavoro: La leggenda degli uomini straordinari. Capito adesso il perché vengono le paranoie a leggere quei due nomi sulla copertina di un film?

Facciamo un passo indietro. Giusto ché potrebbe far piacere saperlo a quelli che dei fumetti se ne sbattono alla grandissima: molto prima di essere un film con Wesley Snipes, Blade è un personaggio nato su carta.


Creato da Marv Wolfman e Gene Colan nei primi anni settanta, appare per la prima volta come supporting character nella serie La tomba di Dracula della Marvel.

Blade è uno dei primissimi “supereroi” di colore. Fatto che lo rende (e lo rendeva soprattutto all’epoca) un personaggio di nicchia. In secondo luogo è il classico “un po’ pirata un po’ signore”, solitario spaccaculi carismatico che funziona sempre. Metti che poi, le sue, sono storie di vampiri, una roba che come la metti e come la giri tira in ogni modo da circa cento e passa anni, et voilà!

Così è più facile capire il perché lui sia andato avanti, mentre la testata su cui è nato no. Comunque, il tempo passa e arriviamo così ai ruggenti anni novanta. Un periodo particolare in cui ne so’ successe di cose. Tipo che la Marvel, fra il 1995 e il 1998 circa stava con le pezze al culo a tanto così dal dichiarare fallimento e andare in bancarotta.


A parlarne si aprirebbe una parentesi troppo grande. Stringendo il brodo al massimo, il perché s’arrivò a tanto è, essenzialmente, riconducibile a tre fattori. Innanzitutto, lo scoppio della bolla speculativa dei fumetti, uguale uguale alla bolla dei tulipani del 1637 che pure Gordon Gekko usava come esempio d’inculata pazzeschissima in Wall Street.

In secondo luogo, la gestione aziendale di Ronald Perelman. L’imprenditore che alcuni anni prima comprò baracca e burattini è, molto probabilmente, la causa più diretta che ha portato al primo punto. Last but not least, la feroce lotta intestina tra gli investitori a colpi d’avvocati, manco fossero Pokemon.

Senza soldi e con debiti per oltre seicento milioni di petroldollari, la Marvel, per sopravvivere, cominciò a vendere e cedere i diritti sui personaggi a cani e porci. Ecco, a proposito di cani e porci, ragionandoci col proverbiale senno di poi, dall’avvio del Marvel Cinematic Universe con Iron Man nel 2008, i film Disney/Marvel sono diventati l’equivalente cinematografico del pe-tee-pee-te-pee te-pe tee-Brigitte Bardot-Bardot.


Sì, però... The Punisher, X-Men, Daredevil, Elektra e Ghost Rider, lo stesso Blade, no? Con il tempo forse a qualcuno sarà sfuggito, ma venti-venticinque anni fa i film Marvel erano cupi, gravi, deprimenti e per lo più facevano rima con due palle fino a terra.

Nel frattempo, la New Line Cinema stava ancora tentando, dopo Lost in Space andato leggermente ‘na fetenzia, di lanciare un franchise cinematografico remunerativo. Visto che, nel giro di pochi anni, erano usciti Dracula di Coppola e Intervista col vampiro andati tutti e due a bomba, mettere le mani su Blade avrebbe potuto rivelarsi un affare vantaggioso.

Cosa che fu, in effetti, considerando i soldoni che Blade fece all’epoca. Sicuro era un periodo in cui vampiri e supereroi tiravano bene. Il problema però sta, appunto, nell’ottica dell’epoca e in chi fu affidato il progetto. Non so se sia merito del personaggio, dei temi, del momento o chissà cosa, sta di fatto che Blade funzionava all’epoca e funziona ancora oggi, venti e passa anni dopo.


Chiaramente parliamo sempre della coppia David S. Goyer-Stephen Norrington. Quindi assurdità e baracconate come se buferasse. Tipo, Blade, in pieno giorno, in mezzo a una strada affollata, armato fino ai denti si mette a giocare a palla sul cofano della macchina con la testa di un poliziotto. Oh, e nessuno dice manco mezza parola, eh.

Ma, ed è questo il punto, Blade è un film puramente visivo. In altre parole, è questo che ti aspetti da un cinecomic che, in generale, proprio così dovrebbe essere: assurdo, esagerato e di tanto così sopra le righe per intrattenerti, ma mai tanto scemo da scadere nel ridicolo.

Ogni scena, azione o combattimento trasuda spettacolarità. Irrealistica, certo, ma sempre in funzione dello spettacolo. La trama è giusto ‘una mezza cazzata, abbozzata per dare al personaggio qualcosa da fare mentre prende a calci-uattà in bocca i vampiri. Non si capisce manco come funziona il vampirismo, figuriamoci. C’è chi viene morso e diventa una specie di zombie, chi un vampiro, chi muore direttamente, per dire.


Tuttavia questa è una cosa che passa relativamente in secondo piano. In quanto il perno di Blade ruota per intero sull’azione. Metti poi i costumi sgargianti. Le ombre esagerate, che ricordano le chine pesantissime dei fumetti della Image nei primi anni novanta. Angoli e tagli di riprese estremi. Certo, quelle sequenze con il montaggio veloce, tipiche degli anni novanta, oggi fanno lievissimamente schifo.

Però, montaggio veloce a parte, queste sono tutte cose che, nell’accezione più pura del termine, ricordano quanto più da vicino possibile un vero fumetto. Oggi, molti tendono a indicare Batman Begins di Nolan come il cinecomic che ha dato il via all’attuale epoca dei film basati sui fumetti.

Immagino, a ‘sto punto, che bisognerebbe andare giusto qualche annetto più indietro. In quanto Blade, non solo risollevò da solo un genere affossato da mondezza come The Phantom, Steel, Batman & Robin e compagnia cantante. Ma ha pure contribuito a creare tutta una serie di tropi e cliché ancora oggi largamente usati.


Ebbene, detto questo credo sia tutto.


Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

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