Il Tagliaerbe - Come farsi fare causa da Stephen King



Sempre a posteriori e col proverbiale senno di poi, fa strano pensare a come certe cose riescano ad assumere un valore che va ben oltre i propri meriti effettivi. In altre parole, Il Tagliaerbe, "presumibilmente basato" su di un racconto di Stephen King, per qualche stranissima ragione che va oltre ogni limite imposto dal semplice buon senso, oggi è considerato una specie di cult. Un fallimento epocale sotto ogni punto di vista che però, a distanza di oltre trent'anni, viene ancora ricordato (da qualcuno) con un certo affetto.


Eh, la nostalgia canaglia, signora mia. Ora, però, per capire proprio bene-bene la genesi di 'sto disastro, dobbiamo per forza fare un "piccolo passo" indietro. Quindi, siamo più o meno verso la fine degli anni '70 e Stephen King è già "Stephen King"; cioè uno a cui basta prendere un foglio e scatarrarci sopra che ti piazza centinaia di migliaia di copie. Allora Milton Subotsky - il fondatore della leggendaria Amicus - e il produttore Andrew Donally, acquisirono i diritti cinematografici di Night Shift, la prima antologia di racconti di King.

Pubblicato in patria nel 1978 e poi da noi qualche anno dopo col titolo A volte ritornano, manco il tempo di arrivare nelle librerie ed ecco che vennero ingaggiati Edward e Valerie Abraham che scrissero una sceneggiatura, appunto per un film antologico, il cui tema era il rapporto fra l'uomo e la tecnologia. Perciò scelsero di adattare i racconti Il Tagliaerbe (The Lawnmower Man), Il Compressore (The Mangler) e Camion (Trucks). Fin qui, tutto bene. 

Poi, nel 1984, Dino De Laurentiis acquistò i diritti della sceneggiatura degli Abraham con l'intenzione di realizzare tutta una serie di film antologici basati sui racconti di King, a partire da L'occhio del gatto (Cat's Eye); e pure qui, ancora tutto bene. Tuttavia, a botta secca e vai a capire adesso perché, qualcuno decise che le storie avrebbero dovuto essere trasformate in film a sé stanti. Primo dei quali fu Camion, diventato quella ciofechissima di Maximum Overdrive. Ecco, questo è il punto in cui le cose cominciano a precipitare.

Ormai del progetto iniziale di un film antologico non rimaneva nulla, così, Allied Vision acquistò i diritti per adattare Il Tagliaerbe, MA, indovina? Non riuscivano a venire a capo di come, proprio in che modo, adattare un racconto breve in un lungometraggio autonomo che reggesse 90 minuti. Alla fine, ovviamente, sappiamo che ci riuscirono, però il risultato schifò talmente tanto Stephen King che trascinò tutti in tribunale per far rimuovere il suo nome dai credits. Sostenendo che il film non aveva nulla a che fare con la sua opera e che l’uso del suo nome serviva solo a ingannare il pubblico. 

La causa si concluse con la sentenza a favore di King e infatti, il suo nome venne ufficialmente rimosso da tutte le versioni successive al '93 del film. Addirittura? Eh, addirittura. Perché la storia originale è completamente diversa e non ha alcun legame con la realtà virtuale o l'intelligenza artificiale mostrate nel film. Appunto, ne Il Tagliaerbe-film la storia segue il Dr. Lawrence Angelo (Pierce Brosnan pre-James Bond) uno scienziato che lavora su esperimenti di potenziamento cognitivo attraverso la realtà virtuale, ok? Bene. 

A un certo punto decide di passare alla sperimentazione umana testando i suoi metodi su Jobe Smith (Jeff Fahey) un poveraccio mentalmente ritardato che si guadagna da vivere come giardiniere. Man mano che gli esperimenti vanno avanti, Jobe diventa sempre più intelligente, oltre i limiti del genio assoluto, sì, ma al tempo stesso diventa sempre più instabile psicologicamente e pericoloso. Tutto questo, fino al punto di trasformarsi in una specie di entità digitale con poteri quasi divini, il cui obiettivo è conquistare il mondo. Già.

Ne Il Tagliaerbe-racconto di King, invece, il protagonista è un certo Harold Parkette. Un tizio che ha bisogno di farsi dare giusto una spuntatina al prato e quindi, a casaccio, assume un servizio di giardinaggio, chiamato Pastoral Greenery, gestito da un ometto peloso e panciuto abbastanza bizzarro. A ogni modo, il tizio viene assunto e si mette al lavoro. A un certo punto, Harold va a controllare come sta andando il lavoro e vede il tosaerba funzionare da solo e dietro, il tizio nudo che lo segue a quattro zampe mangiando l'erba. 

Nel momento in cui il tosaerba insegue e uccide deliberatamente una talpa, Harold vomita e sviene. Una volta ripresosi cerca d'interrompere il lavoro e mandare via il giardiniere, ma il tizio, apparentemente un satiro che adora l'antico dio Pan, uccide Harold massacrandolo col tosaerba. Ora, diciamo che ci sono giusto giusto delle lievissime, quasi impercettibili, differenze tra il racconto di King e il film di Brett Leonard, no? 

Il fatto è che in realtà, fin dal principio il film non aveva nulla a che fare con Stephen King. La sceneggiatura iniziale, intitolata Cyber God e scritta da Brett Leonard e Gimel Everett, raccontava appunto la storia di un uomo potenziato dalla tecnologia fino a diventare una specie di nuova divinità digitale. La produzione, successivamente, nel tentativo di aumentare l'appeal commerciale, acquisì pure i diritti per il racconto breve di King - il cui nome, puramente "decorativo", era in pratica uno specchietto per le allodole - cercando d'incastrare alcuni elementi nella sceneggiatura già esistente.

C'è da dire che in compenso, però, le cose poi peggiorano, eh. Infatti, la sceneggiatura di Leonard ed Everett su cui hanno provato ad appiccicare un po' di roba di King a caso, vai a vedere ed è una copia spudorata di Fiori per Algernon di Daniel Keyes: solo uno dei romanzi più importanti del XX° secolo. 'Na robetta de niente, insomma. Qui, il protagonista è Charlie Gordon, un poveraccio fortemente ritardato che si guadagna da vivere come panettiere. Quando viene sottoposto a un trattamento medico sperimentale, alla fine Charlie diventa praticamente un genio. Nel vero senso della parola.

Una storia talmente conosciuta che pure ne I Simpson ne hanno fatto la parodia. Cioè, il famoso episodio in cui si scopre che Homer è così scemo per via di un pastello che da bambino s'era ficcato su per il naso e quando Boe rimuove il pastello, rimasto incastrato nel cranio per trent'anni, Homer diventa di botto un genio, no? Eh, quell'episodio è una parodia di Fiori per Algernon. Un’opera profondamente emotiva e filosoficamente complessa che tratta in modo straordinariamente delicato il tema della disabilità mentale.

Persino I Simpson, in un episodio-parodia di circa venti minuti, sono riusciti a mantenere alcune sfumature di quella sensibilità e finezza con cui viene trattato un argomento così spinoso. Mentre ne Il Tagliaerbe, invece, Leonard ed Everett si limitano a sfruttare (senza vergogna) il concetto di fondo, ficcandolo a forza in una narrazione estremamente superficiale e scioccamente spettacolarizzata. Sorprendentemente, però, all'epoca nessuno sollevò "obiezioni formali" su questa "somiglianza". 

Forse perché la differenza di contesto (realtà virtuale vs esperimento medico) bastava a celare il parallelismo. Oppure, al di là del fatto che lo sfruttamento commerciale del tema dell'intelligenza amplificata era già abbastanza diffuso, c'era già stato il polverone alzato da Stephen King. A ogni modo, quale che sia il motivo, alla fine Il Tagliaerbe riuscì a passare inosservato sotto questo aspetto, nonostante il "debito concettuale" più che evidente nei confronti del romanzo di Keyes.

A 'sto punto, diventa irrimediabilmente chiaro da dove nascano i problemi del film, giusto? Per quanto possa sembrare interessante lo spunto iniziale, il Tagliaerbe è 'na specie di mostro di Frankenstein fatto di cose appiccicate assieme alla porcaputtana e alla cazzomannaggia. Perdendosi, appunto, rapidamente in una serie di cliché e scelte narrative che definire discutibili è fargli un complimento. Per esempio, il tropo dello "scienziato che gioca a fare Dio" è un elemento onnipresente nella narrativa fantascientifica, ma in questo caso viene trattato in modo superficiale, senza una vera esplorazione etica. 

Allo stesso modo, il concetto di "intelligenza che porta alla follia" è un tema ricorrente che qui viene utilizzato come mero espediente per giustificare il climax del film, anziché come riflessione seria sui limiti della conoscenza umana. Pure l'uso della tecnologia e il modo in cui viene mostrato come la realtà virtuale può alterare la mente umana è trattato in modo semplicistico, approssimativo e in generale a dir poco irrealistico. Cioè, d'accordo che siamo nei primissimi anni '90, ma qui il concetto s'avvicina più alla magia che alla vera scienza. 

Tutta questa approssimazione si riflette, naturalmente, anche nella tram e nei personaggi: l’azienda per cui lavora il Dr. Angelo - che si rende conto di cose e fatti solo quando la trama deve avanzare in qualche modo - è tipo l'Umbrella Corporation, con tanto di piani malvagi che però vengono appena accennati. Loro sono "cattivi", a titolo puramente generico, e tanto basta. L'evoluzione di Jobe, poi, da ritardato a malvagia divinità collerica è affrettata, avviene con sviluppi narrativi poco coerenti e colpi di scena forzati. Anzi.

Per dirla meglio, Jobe - che segue il percorso già tracciato da molte altre storie - passa da individuo inizialmente innocuo a minaccia inarrestabile così, di botto, senza una vera e propria costruzione logica che giustifichi, in qualche modo, il suo cambiamento. Comunque. Per farla breva, Il Tagliaerbe è un film nato da una sceneggiatura completamente scollegata da King e solo in seguito travestito da adattamento, che s'è guadagnato un posto nella memoria collettiva più per le sue stranezze che per i suoi meriti artistici. 

Eppure, proprio per questa sua, diciamo "natura ibrida", i suoi effetti visivi datati, la narrazione superficiale, l'uso confuso della tecnologia come espediente narrativo e appunto la tematica futuristica ormai retrò, Il Tagliaerbe rimane un esempio perfetto di cinema di genere imperfetto ma affascinante, capace di sopravvivere nel tempo anche grazie (o a causa) delle sue contraddizioni. Magari è questo il veros successo?


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.





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