GHOSTBUSTERS LEGACY - LA MERAVIGLIA DELLA NOSTALGIA AZIENDALE



A prendere giusto un attimino le distanze, ci metti poco a capire che quel running time di Ghostbusters Legacy è la dimostrazione di quanto diceva John Le Carré. Cioè, quando definì il cinema un “legame forzato di opposti inconciliabili”.

Il fatto è che si parte sempre così, da una storia scritta, una sceneggiatura di centoventi pagine che però, ha bisogno del denaro di qualcun altro. Poi quel denaro arriva, ma arriva pieno di note sulla storia, discussioni economiche, leggi sindacali, problemi di programmazione e post-produzione.

Praticamente, un regista diventa l’amministratore delegato di una società dove la creatività è solo una delle tante attività manageriali secondarie. Quando non una voce opzionale da depennare direttamente.

Ghostbusters Legacy – Emozioni un tanto al kg per te e soltanto per te


Alla fine, ti rendi conto, a guardare Ghostbusters Legacy c’è 'sta specie di nota stonata in sottofondo, piuttosto disturbante e che proprio non va. Tanto che a un certo punto arrivi pure a chiederti che cosa diavolo piacesse alla gente del film originale. 

Nel senso, Ghostbusters non era un prodotto peculiare e/o in qualche modo caratteristico. Anzi. Il film del 1984, come tanti altri residuati bellici di quell’epoca, peculiare e caratteristico, specchio e manifesto di un passato che ormai fatica a diventare remoto, lo è diventato con il tempo. 

All'epoca, non era altro che semplice intrattenimento popolare, regolato dalle convenzioni del giorno.

Appunto: prendi Chevy Chase, Eddie Murphy, John Belushi, Dan Aykroyd, Chris Farley, Bill Murray e compagnia cantante. I protagonisti, cioè, di tutti quei film, oggi, messi alla stregua di sacre reliquie venerate e riverite sull’altare dell’amarcord.

Ecco, 'sta gente qua, erano i comici del momento, le punte del Saturday Night Live all'apice della loro popolarità. Chiaro li spingessero in ogni modo possibile e film come Ghostbusters, appunto, erano confezionati per e su di loro.

Il Ghostbusters originale, raccontava la storia di 'sti tre cazzoni: un nerd, un nerd intelligente e uno a tanto così dall’essere praticamente un truffatore, ok? Praticamente, a forza di sputi e fischi alla fine dimostrano l’esistenza del paranormale e ci riescono perché, di base, sono "scienziati".


Sì, attenzione, però: i classici scienziati fai-da-te degli anni '80, come il professor Szalinski o il dottor Brown, per dire. Quelli che a tempo perso, nel giardino di casa e con la roba presa alla ferramenta all’angolo, ti costruiscono macchine del tempo e raggi in grado di rimpicciolire i figli.

Il punto è che Ghostbusters era una semplice commedia, funzionale nella misura dell'equilibrio tra le sue parti: abbastanza serio da rendere plausibili storia e personaggi, mai troppo, però, da scordarsi di essere un film a uso di un gruppo di comici per infilarci battute di repertorio.

Se non fosse sufficientemente chiaro, Ghostbusters era, sì, un "prodotto", un mezzo per veicolare e commercializzare il successo degli attori, questo è ovvio; ma è un prodotto valido. Originale, brillante, stravagante, divertente. Pieno di estro creativo, realizzato al massimo delle possibilità degli autori.

Poi, ovviamente, sono arrivati un sequel e, ancor più ovviamente, uno pseudo-remake fuori tempo massimo, nati dal successo e dall'interesse che il film del 1984 continuava a generare ed esercitare sul pubblico pure a distanza di anni. 

Ora, in estrema sintesi, il grosso, grossissimo problema di 'sta roba e non solo, sta nella suprema convinzione di produttori, investitori e spesso pure sceneggiatori, che il pubblico, in testa o magari in culo, vallo a sapere, abbia 'na specie di "pulsante reset"

Cioè, 'na cosa tipo che loro premono e noi, così, per magia, ci resettiamo e dimentichiamo tutto. 


Eh, e diciamo che mica ce lo siamo dimenticati il dott. Spengler che faceva gli esempi scemi con i plumcake, oppure il dott. Stantz che addirittura, poi, se lo faceva ciucciare dai fantasmi. No, eh? Ecco, questo è il punto di tutta 'sta pappardella: ricordare.

Siamo tutti perfettamente in grado di ricordare ciò che vediamo, ciò che ci viene raccontato. Se vieni a dirmi che in Ghostbusters l’esistenza di un piano astrale è un fatto riconosciuto e consolidato da tutti e, in più, ci metti grazie a quattro sciroccati poi conclamati salvatori del mondo, cosa pretendi?

Ovvio che uno ricordi perfettamente 'sta cosa; esattamente come si ricorda che Lo squalo, tanto per dire, non è certo un documentario di Jacques Cousteau sulla fauna marina, insomma.

Allora arriviamo a 'sto Ghostbusters Legacy, la cui uscita era prevista per l’estate del 2020. Poi c'è stata giusto 'na pandemia per il mezzo e va be'. Comunque, nell'arco di questo periodo, ce n’è stato di tempo per parlarne, no?

Tipo, a Gennaio dell'anno scorso, faceva notizia 'sta visione di prova del film finita a pianti, abbraccioni e complimentoni tra il regista di Ghostbusters Legacy, Jason Reitman, e suo padre, Ivan Reitman, al secolo regista di Ghostbusters e Ghostbusters II.

I propositi di Reitman figlio di rendere questo film nella forma di tributo al lavoro di suo padre, sono comprensibilissimi, sicuramente. Quello che non è per niente comprensibile, invece, sta in questa affermazione: "Ghostbusters Legacy restituisce il franchise ai suoi fan".

Ah, sì… e per curiosità, chi sarebbero, di preciso, questi "fan"?


Perché, sai com’è, nel suo insieme è clamorosamente chiaro lo scopo puramente mercenario di Legacy. Quindi, a chi ti stai rivolgendo: a quelli che ancora oggi adorano e sono affezionati a una simpatica commedia di fantascienza, al netto dei suoi difetti e nella misura della sua semplice assurdità?

Oppure, magari, stai cercando disperatamente di far leva su quelli a cui del film, di Ghostbusters in sé, non frega assolutamente nulla, ma che semplicemente non hanno ancora metabolizzato il lutto della loro infanzia ormai andata? 

No, ché se tanto mi dà tanto, metti, Ghostbusters Legacy pare più un tentativo matto e disperato di leccata a quelli che sputano a spregio su tutto quello che non regge e non reggerà mai il confronto con la bellezza dei loro idealizzatissimi ricordi color oro-amarcord.

Ghostbusters Legacy, appunto, nasce con il duplice, nonché chiarissimo, scopo di rilanciare il brand e nel frattempo mettere una grandissima pezza a quel disastroso tentativo di reboot/remake/requel/retcon/whatev al femminile del 2016. Come? 

Per lo più affidandosi a convenienza al magico pulsantone reset, naturalmente.


Ignorare completamente il Ghostbusters del 2016 fingendo non sia mai successo niente, va be’, quella era la parte facile. Piuttosto, la cosa buffa è un'altra. Cioè, Ghostbusters Legacy è stato, esplicitamente, confermato come terzo film e seguito ufficiale dei primi due. Bene.

Proprio per questo, dunque, i fatti di Ghostbusters II vengono completamente, bellamente, magnificamente fanculizzati pure loro. Benissimo; e per fortuna che Legacy è un seguito diretto, eh. 

La melma ectoplasmatica che ha fatto impazzire New York? Macché. Vigo il carpatico che voleva reincarnarsi in Oscar, il figlio di Dana Barrett? Ma quando mai. I Ghostbusters che salvano il mondo pilotando la statua della libertà coi pad del Nes? See, buona notte, proprio.

Giustamente, in che altro modo, poi, la trama di Ghostbusters Legacy avrebbe potuto avanzare? Come avrebbe potuto giustificare il fatto che il mondo avesse "dimenticato" i Ghostbusters? 

Anche perché, al di là di questo, una precedente invasione di fantasmi che paralizza 'na metropoli, il Titanic che rientra in porto e un pupazzo di marshmallow alto quaranta metri che butta giù i palazzi, sì, quelli te li dimentichi facile, proprio.

Così, nel tentativo di metterci un po' di vasella... rendere in qualche modo più semplice 'sta transizione, addio New York. Il film è ambientato a Summerville, Oklahoma. Popolazione: quattro gatti, ché a quarantaquattro manco ci arrivano.

Questo perché a un certo punto, imprecisato ma stabilito dopo lo scontro con Gozer, il dottor Spengler ha messo su famiglia. Le domande fondamentali, tipo dove, come, quando, perché e con chi è successa 'sta cosa, per il film non sono assolutamente rilevanti.


Reitman il giovane ha già stabilito che ai fanZ, quelli a cui Legacy sta restituendo il franchise, non interessa. L’unica cosa importante è Phoebe (Mckenna Grace), figlia di Callie (Carrie Coon) a sua volta figlia che, vattelapesca quando e con chi, Egon ha avuto. 

Di nuovo: per fortuna che questo è un seguito diretto, eh.

Il punto è che, da un lato, la scelta di Reitman il giovane di ambientare la storia in una piccola città è anche comprensibile. In questo modo, attraverso gli assolati paesaggi dell’America rurale e un sapiente gioco di filtri e inquadrature spielberghiane, riesce a imprimere alla storia un carattere più intimista.

Pure la questione di aver strutturato il tutto principalmente come un’avventura per ragazzi (qualcuno ha detto Stranger Things?) sempre da questo lato, è carina. Il problema è che, dall’altro, tutto pare tremendamente posticcio e fin troppo manipolativo. 

Roba che la parentesi GirlZ PowerZ di Avengers Endgame pare sul serio un momento genuinamente sentito e per niente forzato. In un’ora e mezza non c’è quasi nessuna esposizione, nessun dialogo, niente che non sia un mucchietto di spiegazioni buttate a convenienza. 

Infatti, quelle poche volte che i personaggi si fermano un attimo a prendere fiato, giusto per farti capire che non stai vedendo un’unica, lunga sequenza, tutto si riduce a due cose soltanto: fanservice e paraculaggine. Tutt'e due un tanto al kg.

Chiaro, l’approccio tipico di Hollywood alle storie è sempre stato quello di avanzare per tropi, pompando cliché in archetipi socio-morali e va be’. Però, in questo caso si sta andando veramente oltre. L’intero film, ogni sequenza di Legacy non pare per niente il frutto di un vero sforzo creativo.


Al contrario, l'intera storia pare esplicitamente modellata su tutti gli elementi che attualmente hanno incontrato il favore del pubblico moderno. Non c’è una sola cosa in Ghostbusters Legacy che non dia quest’impressione e che non venga trattata con agghiacciante, ingiustificata e tediosa ampollosità.

Ogni minima scoperta, ogni minima sciocchezza che Phoebe – versione Mini-Me di Egon e fastidioso stereotipo del bambino-genio-scienziato brutto già di suo – viene a sapere riguardo i Ghostbusters è trattata come la più santa delle reliquie, lascito divino magnanimamente concesso dai suoi/tuoi sacri dei.

In sostanza, Ghostbusters Legacy non fa altro che saltare, in continuazione e a convenienza, da un punto all’altro senza una reale soluzione di continuità. Tipo, quando fa comodo, tutti sanno chi sono i Ghostbusters: quelli che hanno dimostrato l’esistenza dei fantasmi e pure salvato il mondo.

Invece, quando i ragazzini - soprattutto Phoebe nei momenti in cui deve splendere agli occhi dei fanZ ammantata di solennità con indosso le sacre vestigia del dott. Spengler - devono far capire agli stupidi adulti cosa sta succedendo, vai con il magico pulsante reset: Parlavi di Acchiappachecosa, scusa? No, mai sentiti.


Nel frattempo, piovono riferimenti costanti e buttati così, completamente inutili, come se buferasse. Sia chiaro, la citazione, la strizzata d’occhio, il riferimento, sono cose divertenti. Però… fare le cose con criterio è un conto, buttarle nella convinzione che si giustifichino da sole è tutt’altro paio di maniche.

Capiamoci: Stay Puft Marshmallow Man, per esempio, nel film originale era un dispositivo per la commedia. A un certo punto durante il climax, il dio Gozer dice “scegliete la forma del distruggitore” e Ray, nella sua stupidità, invece di non pensare a niente si immagina l’omino dei marshmallow.

In altre parole, chiaro ci fossero un come, un quando e un perché in grado di giustificare quella particolare cosa. In Ghostbusters Legacy, invece, tutti quei "dispettosissimi" mini Stay Puft che vengono fuori all’improvviso, ci sono e stanno lì per...?

Qual è il motivo? A parte che dalle analisi sul target demografico e a giudicare dagli incassi, alla gente piacciono i Minions e quindi bisogna buttarci nel film qualcosa che li ricordi?

C’è un momento, in realtà più di uno, in cui Ghostbusters Legacy si riesce sul serio a sentirlo come un tributo, un sentito grazie a tutti quelli che all’epoca hanno dato vita all’importante pezzo di cultura pop che tutti conosciamo e di cui, ancora oggi, parliamo.


Peccato che scivolino via più facili delle lacrime di un replicante nella pioggia, mettendoci poco a passare il confine con il grottesco. Soprattutto il finale. Quel finale lì, terribilmente telefonato prima ancora di uscire di casa e andare al cinema.

Ecco, quel finale sarebbe stato anche, magari non perfetto ma bello, almeno, se Reitman il giovane avesse capito quando fermarsi. Al contrario, ha preferito continuare a spingere su quelle quattro idee confuse e vecchissime che vendono preconfezionate nel reparto emozioni al discount delle sceneggiature. 

In questo modo, tutto finisce per essere goffo, brutto e sinceramente disturbante, anziché emotivamente rilevante. Comunque. Nella sua forma attuale, vattelapesca cosa sia (o cosa dovrebbe essere) ‘sto Ghostbusters Legacy.

Le uniche cose evidenti del film sono il subdolo tentativo di pompare emozioni, corporativamente mirate, per fare appello e presa sui ricordi sfalsati di alcuni spettatori, e quanto sia vuoto strutturalmente tolta la patina sweet memories. 

C’è veramente molto poco Ghostbusters in questo Ghostbusters Legacy.
Oh, e per fortuna che questo è un seguito diretto, eh. Altrimenti...


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.

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