Alien: Romulus - Ciao, sono Alien, ti ricordi di me?


Essenzialmente, il filler labbra è un micro-intervento che prevede l’iniezione di acido ialuronico allo scopo di riempire e rimodellare il corpo labiale. Giusto? Ecco, Alien: Romulus è praticamente la stessa cosa: un riempitivo, se vogliamo. Il cui risultato, per quanto gradevole possa essere, nella sostanza rimane comunque un semplice abbellimento estetico. Temporaneo pure, tra l’altro.

Capiamoci un attimo meglio. Il fatto è questo: Alien, in sé per sé, nasce dalle ceneri del Dune abortito di Alejandro Jodorowsky. Quando fu ormai chiaro che il progetto era finito definitivamente all’aceto, la squadra di creativi che Jodorowsky aveva messo in piedi – e parliamo di gente tipo Chris Foss, H.R. Giger, Dan O’Bannon e Moebius - visto che ormai si trovavano, cominciarono a dedicarsi allo sviluppo di un soggetto su cui O’Bannon lavorava già da un po’: Star Beast.

Per tagliarla a corto se no facciamo notte su ‘sta cosa, l’idea, nella mente di Dan O’Bannon, era decisamente più articolata di quello che poi fu il risultato finale concretizzatosi nel film del 1979 diretto da Ridley Scott. Un esempio al volo, così, giusto per capirci, riguarda il fatto che quella degli Xenomorfi, per quanto brutale, avrebbe dovuto essere comunque una società estremamente progredita; sia socialmente sia tecnicamente.  

La forma bestiale, cioè lo Xenomorfo così come lo conosciamo, era previsto fosse soltanto una fase transitoria; una specie di stadio primitivo che identificava gli individui giovani, insomma. In altre parole, diciamo che il concetto di fondo si rifaceva grossomodo alle civiltà mesoamericane tipo Aztechi, Toltechi, Inca e compagnia cantante: avanzatissime quanto vuoi, sì, ma che in ogni caso non si facevano problemi a strappare cuori e tagliare teste per onorare i propri dei. 

Tra l’altro, ci sarebbe da dire pure che la produzione di Alien, a conti fatti, fu ‘na bella cagnara. Tanto che ancora oggi se ne parla, eh. Per dire, una delle controversie più famose riguarda lo scrittore A. E. van Vogt che provò a trascinare la produzione in tribunale a causa del fatto che Alien, alla fine, era troppo, troppo sospettosamente simile, a Crociera nell'infinito. Romanzo pubblicato da van Vogt circa una trentina d’anni prima dell’uscita del film; ma questa però è un’altra storia. Comunque. 

Tutta ‘sta bella tiritera, insomma, era giusto per sottolineare meglio il punto della questione: al di là di tutto, se Alien è “Alien”, cioè uno dei punti cardine del cinema di fantascienza in genere, il motivo riguarda principalmente l’intero spettro di suggestioni a cui ha dato vita. Una serie intera di spazi lasciati volutamente vuoti per fare in modo che il pubblico esercitasse la propria immaginazione. Vedi il solo ritrovamento del cadavere fossilizzato dell’Ingegnere quante ipotesi è in grado di suscitare, no?

Ora, per quanto generalmente non siano funzionali, alcuni sequel riescono pure ad aggiungere idee originali, personaggi nuovi e tentare approcci diversi portando così un franchise verso nuove direzioni. Persino aggiungere peso e mito. In questo senso, Prometheus e Covenant ti possono piacere o non piacere, li puoi amare o li puoi odiare, sta di fatto che rimangono l’unico tentativo materialmente concreto di fare un passo verso e nell’esplorazione di quelle suggestioni che hanno reso il film originale quel che è, staccandosi da una formula ormai esausta e troppo abusata.

Sfortunatamente, Alien: Romulus invece appartiene a quell’altra categoria di sequel: i filler; cioè i riempitivi il cui scopo, sostanzialmente, non è altro che mantenere attivo il franchise tentando nel mentre di generare un profitto. Sotto questo aspetto, Romulus è un prodotto perfettamente riuscito. Per il resto…

Diretto e co-scritto da Fede Alvarez e Rodo Sayagues, Romulus è una storia familiare, sì, ma poco se non quasi per nulla elaborata. Tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere è lì, spiegato ben bene col cucchiaino nell’arco dei primi dieci minuti del film. Cosa che sta cominciando a verificarsi fin troppo spesso, tra l’altro. A ogni modo, la protagonista è Rain (Cailee Spaeny), una ragazza appartenente alla seconda generazioni di minatori-coloni, sulla carta dipendenti, ma nella pratica una “proprietà” della Weyland-Yutani. 

Sempre accompagnata dal fedele Andy (David Jonsson), un sintetico difettoso che considera letteralmente suo fratello, l’unico obiettivo di Rain è raggiungere la quota di ore di lavoro richieste dalla compagnia, così da poter chiudere il “contratto” e lasciare finalmente la colonia mineraria; dove sia i suoi genitori che quelli di tanti altri ragazzi bloccati lì, sono morti di malattie, stenti e fatiche.

Ovviamente, l’occasione si presenta quando, dopo l’ennesima incula… rinegoziazione dei termini contrattuali da parte della Weyland-Yutani che la inchiodano ancora lì, Rain viene contattata da un gruppetto di suoi amici. I ragazzi stanno pianificando una fuga dalla colonia grazie a una stazione spaziale abbandonata della W-Y che, comodamente quanto convenientemente ai fini della trama, si trova a fluttuare nello spazio esattamente sopra di loro.

Di base, tutto è molto semplice: Alien: Romulus gira interamente sul piano dei ragazzi che si limita ad andare lì e prendere il crio-combustibile necessario alle capsule d’ipersonno per affrontare il viaggio, di circa nove anni, verso il sistema stellare più vicino in modo da lasciare finalmente la colonia; e pure così, il film ci mette poco ad accartocciarsi sia per quanto riguarda la trama verticale che quella orizzontale, portando a buchi di trama abbastanza evidenti ed errori di continuità.

Tanto per dire, uno dei primi e più evidenti errori lo si vede proprio giusto giusto nella sequenza d’apertura del film. Fondamentalmente, Romulus è un midquel ambientato vent’anni dopo Alien e quasi una quarantina prima di Aliens, ok? Bene. All’inizio di Romulus si vede una sonda – inviata appunto dalla stazione Romulus – trovare e recuperare parti del relitto della Nostromo fluttuanti nello spazio vicino a Zeta² Reticuli in seguito alla sua distruzione vent’anni prima. 

Ammesso e non concesso si fosse salvato qualcosa, il problema è che qualsiasi parte della Nostromo che non fosse stata vaporizzata, certo non sarebbe rimasta lì, vent’anni dopo, a fluttuare allegramente nello spazio intorno all'area in cui avvenne l'esplosione. La forza dell'esplosione stessa ne avrebbe sparato i resti in tutte le direzioni a velocità pazzesca; e poiché questo è il vuoto siderale, i resti avrebbero continuato semplicemente a volare nello spazio alla stessa velocità con cui erano stati scagliati.

Oppure, sempre per dire, non viene fornita alcuna spiegazione su come gli scienziati della compagnia sulla Romulus abbiano decodificato il genoma alieno per creare i facehuggers. Questa è una cosa che nemmeno oltre 200 anni dopo, nel futuro di Alien - La clonazione, gli scienziati erano in grado di fare. Infatti, hanno dovuto clonare Ripley per ottenere da lei l'embrione della regina e consentirgli di produrre uova per ottenere i facehuggers e di conseguenza, poi, Xenomorfi adulti.

Questo è il problema di Alien: Romulus: per quanto sia bello visivamente - perché sì, scenografie, set, VFX, practical e compagnia cantante sono assolutamente fantastici - tutto si appoggia troppo a convenienza ai precedenti film della saga, arrivando persino a battute duplicate. Cioè, la struttura generale è praticamente quella del primo film e va be’. Ci sono scene speculari, tipo Rain a cui viene spiegato come usare un pulse rifle dei colonial marines esattamente come viene spiegato a Ripley da Hicks in Aliens, d’accordo. 

Quando, però, queste smettono di essere “citazioni” e il film comincia ad avanzare tramite l'esclusiva sovrapposizione in scala 1:1 di scene e dialoghi degli altri film, è qui che le cose vanno troppo oltre e smettono di avere senso. Questo continuo "ammiccamento" senza sosta che ti urla fortissimo nelle orecchie "Guardami, ti ricordi di me?", non solo è brutto, ma porta i collegamenti con gli altri film in un luogo meta che non funziona.

Questo è un gran peccato, perché le scene d'azione sono ben girate e ben ritmate. Il sound design perfettamente calibrato. Visivamente e tecnicamente parlando, Alien: Romulus è bello. Non c'è un'altra parola migliore per descriverlo: è semplicemente bello. Cailee Spaeny e David Jonsson, sono fantastici e da soli, mantengono letteralmente l'intero film; e tutto questo fa letteralmente a cazzotti col resto, visto che bastano appena due secondi per accorgerti che il tessuto connettivo fra le varie sequenze riesce a malapena a tenerle assieme.

A parte Rain e Andy, gli altri personaggi sono un inutile insieme di macchiette senza nome e senza personalità, il cui unico aspetto distintivo sta nel come (e quando) muoiono. La storia non ha pathos né alcun tipo di articolazione. Non ci sono twist, non c’è ellissi narrativa, la trama, già di suo semplicistica, avanza in modo estremamente piatto e lineare in una riproposizione della formula gente che deve fare da Punto A a Punto B mentre muoiono a uno a uno inseguiti dal mostro. Roba, in pratica, venuta a noia già nel 1997 facendo arenare la saga per anni.

Considerando la cifra stilistica di Alvarez e i risultati raggiunti prima col requel di Evil Dead e poi con Man in the Dark, fa strano che Alien: Romulus ne sia uscito così stranamente sottotono. Forse sarà stata la mancanza di coraggio, forse paletti imposti dall'alto, vallo a sapere. Sta di fatto che così com'è, Romulus è un bersaglio mancato. Un bel quadretto che non toglie, ma soprattutto non aggiunge assolutamente niente di niente alla saga. Di nuovo: un gran peccato, ché 'sto film aveva tutti gli elementi per essere molto, molto di più.


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.

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