IL GRANDE LEBOWSKI - Drugo voleva solo il suo tappeto



Il grande Lebowski è una commedia, una crime story, un poliziesco noir, un’assurda specie di trip movie dove il mezzo è l’uomo e la strada l’indole umana. Il Drugo è un personaggio grande così che, in vestaglia e mutande, scioltezza e disinvoltura, giganteggia sullo schermo nella sua allucinante complessità.

Perché Il grande Lebowski non è una storia, ma un atteggiamento. Il grande Lebowski è un modo di essere; e sì, finanche una religione.


IL GRANDE LEBOWSKI - Nessuna avidità. È che dava... un tono all'ambiente.


Il grande Lebowski è raccontato da Lo Straniero (Sam Elliott), il cui ruolo è quello del narratore onnisciente. Mentre sullo schermo scorrono le panoramiche della città di Los Angeles, Lo Straniero parla di come “nel lontano Ovest” conobbe Jeffrey “Drugo” Lebowski (Jeff Bridges). 

Un trasandatissimo, pigro, “forse il più pigro di tutta la contea di Los Angeles”, ma incredibilmente interessante tizio. La storia comincia nel mezzo del cammin della vita di Drugo, quando appena tornato a casa dal minimarket viene aggredito da due scagnozzi.


Lo aspettavano per ficcargli la testa nel cesso e avvertirlo che sua moglie deve un sacco di soldi al ricco magnate dell’industria pornografica Jackie Treehorn (Ben Gazzara). Come se non bastasse uno degli scagnozzi, mentre il collega è impegnato a spiegare a Drugo i motivi della visita, molto elegantemente piscia sul tappeto.


Con il suo solito aplomb, Lebowski fa presente ai due che non solo, come si può palesemente notare, non è un miliardario, ma che per di più non è neanche sposato. Resosi conto dell’errore, i due rintronati picchiatori se ne vanno.

La sera dopo l’aggressione, Drugo si ritrova al bowling con i suoi due amici, Walter (John Goodman) e Donny (Steve Buscemi), a cui racconta ciò che è successo.


A Drugo non interessa di essere stato scambiato per il suo omonimo Jeffrey Lebowski (David Huddleston), filantropo miliardario. No, a lui interessa solo che ci ha perso il tappeto.

Così Walter, un tizio rimasto traumatizzato dall’esperienza in Vietnam, gli dice che dovrebbe presentarsi da questo “grande Lebowski” e chiedergli il risarcimento del tappeto. In fondo, Drugo si è preso le botte al posto suo. Detto fatto, il giorno dopo Drugo va a casa di Lebowski.


Il quale è uno scontroso vecchio paraplegico che se ne infischia altamente e dà il benservito al “piccolo Lebowski”. Mentre va via, il piccolo Lebowski dice a Brandt (Philip Seymour Hoffman), l’assistente personale del vecchio, che ha il permesso di prendersi un tappeto a sua scelta.

Inoltre, all’uscita fa la conoscenza di Bunny (Tara Reid), la moglie-trofeo del grande Lebowski, una giovane ex pornodiva ninfomane, stralunata e con il vizio di spendere a vagonate. A Drugo Lebowski frega poco: un tappeto l’ha recuperato e può di nuovo dare un tono all’ambiente di casa. Per lui la storia è finita lì.


Un paio di giorni dopo, Brandt chiama a raffica Drugo chiedendogli di presentarsi al più presto alla proprietà del vecchio, assicurandogli di non preoccuparsi, perché la visita non ha nulla a che fare con il tappeto rubato.

I due Lebowski si incontrano di nuovo. Stavolta, il grande Lebowski ha bisogno dell’aiuto del piccolo Lebowski. A quanto pare, Bunny è stata rapita e i rapitori chiedono un riscatto di un milione di dollari. 


Giacché Drugo era stato aggredito da quelli che potrebbero essere gli autori del sequestro, dovrebbe occuparsi lui dello scambio, perché così potrebbe riconoscerli, essendo l’unico ad averli visti. Mosso da buone intenzioni, ma soprattutto dalla promessa di un compenso di ventimila dollari, Drugo accetta.

Raccontata la cosa agli amici al bowling, Walter, da bravo fanatico qual è, si offre di accompagnare Drugo allo scambio con i criminali. Così i due si mettono in macchina e, nel tragitto, Walter espone a Drugo il suo brillante piano per fregare i rapitori.

Infatti, Walter si è portato una “valigetta fac-simile” piena di mutande. L’idea è quella di utilizzarla per far credere ai rapitori che accettano di pagarli, poi pestarli per bene e farsi portare dove si trova Bunny. Così, una volta presa la ragazza, lui e Drugo potranno intascarsi il milione di dollari del riscatto.


Tutta questa bella fantasia a Walter gli è salita in testa perché Drugo, avendo inquadrato Bunny, aveva detto che, forse, la ragazza aveva inscenato tutto per fregare i soldi al vecchio Lebowski. Alla fine riesce a fare una cagnara assurda ficcando Drugo in una situazione ancora peggiore.

Da qui in poi, le cose sono sempre più al limite del grottesco e del paradossale, con Drugo invischiato in un pantheon di personaggi sempre più bizzarri e allucinanti.


Tipo Maude Lebowski (Julianne Moore), la figlia artista-femminista-progressista del vecchio Lebowski. Oppure il gruppo di nichilisti tedeschi o, ancora, l’assurdissimo Jesus Quintana (John Turturro), il nemico giurato di Drugo al bowling.

A conti fatti, Il grande Lebowski è un concentrato di estro creativo, inventiva e ispirata intelligenza come pochi. Effettivamente, l’abilità dei fratelli Coen nel gestire, intrecciare, raccontare e mostrare dei generi tanto opposti tra loro, ha dell’incredibile.


Se c’è una cosa, tra le tante, veramente notevole dei Coen è il loro voler mostrare la vita per quella che potrebbe essere realmente e non come dovrebbe essere idealmente.

Come in Fargo, oppure in Non è un paese per vecchi. Per esempio, in quest’ultimo film, tramite un dialogo dello sceriffo Bell (Tommy Lee Jones), si può capire come la società sia diventata asettica.

“Ecco, la settimana scorsa hanno scoperto una coppia in California che affittava camere ai vecchietti, poi li ammazzava, li seppelliva in giardino e intascava le loro pensioni. Ah, e prima li torturava, non so perché, forse il televisore si era guastato. 

E la cosa è andata avanti finché, testuali parole, «i vicini si sono allarmati quando hanno visto un uomo scappare con indosso solo un collare per cani». È impossibile inventarsi una notizia così, provaci, non ci riesci. Questo c’è voluto per attirare l’attenzione di qualcuno: lo scavo di fosse in giardino era passato inosservato”.


Ne Il grande Lebowski questo tipo pungente sarcasmo è all’apogeo. Drugo Lebowski (in originale The Dude, “Il Tipo”) è un personaggio eccezionale. Uno che è andato a Woodstock e non è mai tornato. Un reduce della propria giovinezza, di ciò che lo animava e che continua imperterrito a “vivere semplice”.

Disoccupato, sfaccendato, pigro. Una vita portata avanti in linea di massima senza nessuna preoccupazione. Vero e proprio emblema della easy life, del prendila come viene.

Sul serio, si potrebbe stare ore a parlare di Drugo. Di come la psicologia sua e degli altri personaggi che appaiono nella storia sia così finemente tratteggiata. Tra l’altro, non a caso è nata una religione basata sul pensiero del Drugo: il Dudeismo.


Al di là di tutto, la cosa che più colpisce è questa storia all’apparenza semplice, ma che in realtà nasconde un incassamento a più strati di complessità. Come spettatore, vieni introdotto in quello che è un semplice framezzo della vita di un uomo, in cui una serie di coincidenze fortuite lo fanno ritrovare invischiato in una tela di avvenimenti sempre più assurdi.

Questo è il bello: Drugo non è l’eroe che parte all’avventura, unico e solo in grado di risolvere una situazione straordinaria. No, Drugo rappresenta la coincidenza, le cosiddette casualità della vita. Tanti piccoli avvenimenti tutt’altro che eccezionali, che messi insieme portano a circostanze insolite e singolari.


Tra l’altro, l’assurdità delle situazioni innescate da un apparente MacGuffin non trascende quella che potrebbe essere benissimo la realtà. Anzi. Volendo, si potrebbero formulare svariate ipotesi. Tipo che gli eventi hanno portato il tranquillo Drugo a vestire i panni dell’action-man.

Oppure ancora, la trama, assurdamente hard boiled e chiaramente ispirata a Il grande sonno di Raymond Chandler, potrebbe portare a pensare che il Drugo si stia svegliando dalla buia notte dell’anima nella decadente città degli angeli.

C’è anche da considere che Il Grande Lebowski è una forte critica alla società americana. Una satira acre che dopo la risata ti lascia quel retrogusto amaro.


Vedi Walter, per esempio: reduce del Vietnam ossessionato da “i suoi compagni morti con la faccia nel fango”. Oppure Donny, lo spettatore occasionale, il tipo passivo che assiste senza prendere mai parte a niente. O ancora il magnate pornografo e strozzino Treehorn.

Lo stesso dualismo tra gli omonimi “Drugo” Lebowski e il vecchio miliardario “Big” Lebowski, che porta a interconnetterli. Ma forse tutto questo è solo una mia pippa mentale.

Magari tutto quello che accade ne Il grande Lebowski è solo un pacchetto di cose messo assieme furbamente dai Coen, giusto per asserire e sfruttare le emozioni del pubblico. Dopotutto, ho sentito i pareri più diversi su Il grande Leboswki.

O forse Il grande Leboswki è proprio quel che è: la vita vista come una pista da bowling, un percorso all’apparenza dritto e forse semplice, ma in cui può capitare di tutto.


Bene, detto questo direi che è tutto.


Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

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