THE BATMAN - SOTTO IL MANTELLO NIENTE



Ormai l’ideologia, diceva tempo fa Quentin Tarantino, vale molto più dell’arte. Concetto che The Batman di Matt Reeves ci mette veramente poco a farti capire. A forza, per lo più. In realtà il discorso è semplice e la domanda una sola: The Batman è un bel film?

Sì, assolutamente. Questo è bene. Tuttavia, ciò non toglie che devi metterci una nota su quel titolo. Una nota che se vai a pie’ di pagina ti ricorda quanti e quali sono gli interessi finanziari in ballo. E questo è male.

The Batman e i suoi fantastici amici


I film devono fare i soldi. Se la metti così, il coro di grazie al ca’ si alza così forte che l’eco potrebbe propagarsi all’infinito. Ovviamente non è questo il problema, semmai lo è nel momento in cui diventa unica ideologia.

Perché i film devono fare i soldi e per farli il pubblico i film li deve capire bene, ma proprio bene bene. Allora, per capirli proprio bene bene ci vogliono le spiegazioni. Tante, tante spiegazioni piazzate lì a pochi cent la tonnellata.

Perché i film devono fare i soldi e per farli il pubblico ha bisogno di cose semplici, familiari, facilmente riconoscibili. Perciò, in quest’epoca di sequel fuori tempo massimo e riavvii istantanei, dai tempo al tempo e tutto diventa di nuovo tutto nuovo.

La trilogia di Christopher Nolan ha segnato il passo, questo è vero. A posteriori, il suo Batman rappresenta un confine. Una linea di demarcazione tra le vecchie produzioni e quello che diventerà, in breve, un genere vero e proprio.


Tuttavia la trilogia di Nolan è tutto tranne che perfetta. Soprattutto perché, metti, per quanto impattante e attentamente congegnata possa essere, quella mitologia, così com’è in cambio richiede un credito veramente troppo alto in sospensione del dubbio.

Principalmente, la questione riguarda l’approccio di Nolan: drammaticamente, disperatamente realistico. In tutto. Senza se e senza ma. Stai parlando di Batman e Batman non è Harry Callaghan, non è Frank Bullit o Frank Serpico… è Batman.

Per dire, ce lo vedi l’ispettore Callaghan in giro per le assolate strade di San Francisco a minacciare i criminali con addosso maschera e mantellina? Ti scappa da ridere in 2.8 secondi. Sempre se ti sforzi di prenderla sul serio, altrimenti meno.

Al di là di tutto, i film di Nolan hanno comunque portato in cassa quasi due miliardi e mezzo di petrodollari. Facile, perciò, capire perché alla Warner abbiano scelto di continuare a battere stolidamente su questo approccio.

Come Disney, pensavano di aver trovato la “Formula™”.


Sfortunatamente il pubblico ha semplicemente risposto e apprezzato la cifra stilistica di uno specifico autore, applicata e funzionale nell’ottica e nella misura di uno specifico personaggio.

Ma qualcuno deve aver preso fischi per fiaschi. In altre parole, l’assoluta convinzione di poter serializzare quell’approccio, di poter capitalizzare quella formula, appiccicandola paro paro a tutti gli altri film, nella certezza che la stessa cosa avrebbe funzionato per ogni personaggio.

Naturalmente non è stato così. Però l’ideologia è quella: l’imperativo è la massimazione del guadagno e perciò basta dare un po’ di tempo al tempo e tutto diventa di nuovo tutto nuovo. Chiaro non ci fosse verso che Warner desse tregua a Batman.

Ancor più facile, quindi, capire com’è che appena quattro anni dopo ci siamo trovati con il terrore che svolazza nella notte, il mal di testa nella mente criminale, il tassametro sul taxi della giustizia firmato Zack Snyder.

Siccome Snyder e il suo Bat-Affleck non hanno dato i risultati sperati, bisogna correre ai ripari: ci vuole un (altro) nuovo Batman, quindi vai col magico pulsantone reset™. Quello che fin dai tempi di Ghostbusters basta premerlo e il pubblico dimentica tutto.

Allora Matt Reeves, allora ecco The Batman. Tutto è di nuovo tutto nuovo.


Il vero, grosso problema di questo The Batman sta nel fatto che a questo punto sarebbe potuto essere IL film di Batman. Invece è… solo un altro film di Batman.

Perché Matt Reeves, anche se pure lui lanciatissimo su toni che per tre ore vanno da veglia a corteo funebre, centra perfettamente due bersagli. In primis, capisce che nella sua visio mundi un elemento imprescindibile della mitologia di Batman è Gotham City.

Più di un semplice sfondo, Gotham è quasi un personaggio vero e proprio, tanto quanto Batman. Volendo, si tratta della Weltanschauung: se cambi Gotham, cambi Batman. Se cambi Batman, cambi Gotham. In effetti, potrebbe essere il primo regista ad aver capito questa cosa.

Nel senso, come Tim Burton, ma più di Tim Burton, Matt Reeves capisce che per funzionare Batman ha bisogno del suo mondo. Per questo pure The Batman si rifà a una serie di graphic novel.

Su tutte, le influenze più evidenti vengono da Il ritorno del cavaliere oscuro e Batman: Year One di Frank Miller, Batman: Year Two di Mike Barr e, come detto dallo stesso Reeves in un’intervista per Esquire, Batman: The Long Halloween di Jeph Loeb e Batman: Ego and Other Tails di Darwyn Cooke.


Ora, il carattere che Reeves è riuscito a imprimere a Gotham City è impressionante. Avrebbe potuto limitarsi a una sovrapposizione generica di una qualunque città a caso, oppure mettere insieme un mucchietto di ovvi espedienti visivi e cliché a pressione.

Invece, come Alex Proyas con Il Corvo prima di lui, ha scelto di costruire un luogo convincente. Nello stile, in termini d’impatto visivo, con la camera in picchiata sugli edifici, gli zoom improvvisi, shallow focus marcatissimi, angolazioni estreme.

Il motivo per cui soffermarsi su questi dettagli, quindi, sta nel fatto che tutto questo è… struttura. Il programma di caricamento con cui Reeves elabora, in modo stranamente efficiente, tutte le trame da cui è andato pescare.

Trame che, del resto, si traducono nel corpus della sua storia e di conseguenza, nelle fondamenta che sostengono l’azione a schermo. Oltretutto, Matt Reeves non è certo l’unico ad aver saputo unire stile e forma, dando un forte imprinting fumettistico a un film.

Per dire, vedi i primi due Batman o Blade, oppure Il Corvo, appunto. Ciò non toglie che a rendere essenzialmente il nichilistico senso di collasso sociale e degrado urbano delle storie di Miller e soci, è quello a esserci andato più vicino.


Ecco, questo fatto porta, di conseguenza, al secondo bersaglio centrato. Dettaglio piccolo, ma fondamentale, ignorato da… sì, più o meno tutti negli ultimi trent’anni: cioè che, perlomeno sulla carta, Batman è il più grande detective del mondo.

Fare a cazzotti con i criminali è fondamentale, ma non imprescindibile chiave delle sue storie che, per la maggiore, si concentrano su risvolti e implicazioni. Le mazzate, di solito, sono la nota di colore che segue e dà quel certo brio al mistero.

Perciò, per come impostato, il carattere di The Batman si avvicina molto a quello dei noir, degli hard boiled anni trenta e quaranta. Tipo Sam Spade o Philip Marlowe, che devono farsi largo spesso a pugni, ma per lo più con la testa, nel sudicio sottobosco criminale per risolvere l’indagine.

Proprio per questo, le cose a un certo punto cominciano a farsi strane. Assai strane.


Metti, perché dalla coppietta che limona duro a scadenza regolare di cinque minuti a quelli che su tre ore di film, circa due le passano guardando lo schermo del telefono, ovviamente passando pure per i nuclei familiari con 1,9 figli a carico, ci devono arrivare tutti.

Tutti indistintamente devono poterlo guardare e pure riuscire a capirlo il film. Per questo, poi, tutto comincia a prendere una piega strana, da disturbo bipolare, quasi.

Ridotta ai minimi termini, la conseguenza di questo approccio ultra-generalizzato si chiama confusione. Perché, in parole povere, non puoi mostrare una cosa e contemporaneamente dirne un’altra. Ciò che mostri e ciò che dici devono avere lo stesso senso.

Gotham City viene rappresentata come sull’orlo dell’abisso: sudicia, malata, pericolosa. Un posto squallido, dove regnano degrado, corruzione e criminalità. Ogni cosa, dalle immagini ai dialoghi, sottolinea costantemente questo fatto.


L’Enigmista viene introdotto e caratterizzato come una via di mezzo tra John Doe di Seven e John Kramer di Saw. Uno spostato sadico e violento che ammazza gente in modi assurdamente elaborati, lasciando indizi altrettanto assurdamente elaborati.

Il punto non è la violenza in sé o di sangue che spruzza a manichetta. Semmai i salti mortali che deve fare il film per tenersi stretto il suo bel PG-13. Il fatto che non devono esserci spigoli, ma una superficie piatta e regolare alla portata di chiunque.

Il fatto che la pericolosità dei criminali, e in generale di Gotham, è misurabile su una scala che va da Eccezzziunale veramente a cattivone da episodio generico dell’A-Team. Si tratta del fatto che The Batman è un ritratto molto più superficiale di quanto vorrebbe farti credere.

L’ideologia è fare i soldi e per fare i soldi c’è bisogno di soluzioni semplici. Immediatamente riconoscibili. Ancora, ciò che mostri e ciò che dici devono avere lo stesso senso. Matt Reeves ha un buon senso dell’azione e molte sequenze sono davvero suggestive.

Tuttavia, aderire tanto palesemente a certi modelli, tipo David Fincher, James Wan, David Lynch, Frank Miller e compagnia cantante, non ha senso se poi tutto non sembra mai realmente comunicare un senso d’urgenza o sembrare anche solo necessario.

Non ha senso se parti da Seven e finisci a Scooby-Doo.


Non ha granché senso sforzarsi tanto, se poi tutto si riduce a Homer che nel montaggio di Mr. Smith va a Washington per far capire al pubblico che il cane è malvagio e lo mostra con un’aria sospetta mentre si guarda attorno con occhi sfuggenti.

I personaggi quel minimo di soggettività dovrebbero averlo. Invece non c’è assolutamente niente che possa sottintendere qualcos’altro o magari, anche solo per un attimo, evitare l’identificazione istantanea di personaggi ben sagomati e facilmente riconoscibili.

L’incapacità di mostrare personaggi che abbiano un’identità attiva e non ridotti a un mucchietto di tratti generici, unita a rivelazioni straordinariamente non sorprendenti, portano a momenti in cui diventa davvero difficile non ridere.

Se mostri una pistola appesa al muro nel primo atto, diceva il vecchio Cechov, nel terzo quella pistola dovrà necessariamente sparare. Se la pistola non viene utilizzata, non serve a nulla ed è solo una semplice, quanto inutile, distrazione.

The Batman è proprio questo: una pistola lasciata appesa. Perché non ha granché senso passare due ore di film a ripetere un concetto, se poi non vai fino in fondo. Di fronte a questa simulazione della serietà, finisci a pensare più ai riferimenti, anziché a ciò che sta cercando di raccontare Reeves.

The Batman è un bel film, sì. Assolutamente sì, ma devi essere disposto a scendere pesantemente a patti con l’ideologia del guadagno, innanzitutto. Perché nel momento in cui ti fermi a pensare, tutto ciò che rimane è una storia molto semplice, sì, avvincente, certo…

… ma tranquillamente riassumibile nell’arco di un episodio di Batman: The Animated Series. In pratica, in venti minuti circa. Quelle tre ore di durata sono veramente troppe e troppo gonfiate, tiratissime solo per rispondere all’attuale logica di mercato.


Ebbene, direi che con questo anche è tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

Commenti

  1. El rata alada 🤦🏻‍♂️🤦🏻‍♂️🤦🏻‍♂️🤦🏻‍♂️

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