Punto di non ritorno - L'orizzonte del vattelapesca

Punto di non ritorno, poco evocativo titolo italiano rispetto all'originale Event Horizon, cioè orizzonte degli eventi, sicuro è un film particolare. Volendo, intrigante e pure abbastanza interessante. Sì, peccato che Punto di non ritorno è tutto questo, solo per i motivi completamente sbagliati.

Nel senso, se dici di voler fare Shining però nello spazio e usare poi, un concetto specifico legato a una particolare teoria scientifica per costruirci sopra una storia dell'orrore, meglio che tu sappia esattamente cosa stai facendo.

Punto di non ritorno dalla cagnara


Ora, diciamo che a volergli dare 'na faccia, gli anni novanta potrebbero avere quella dell’alieno a titolo generico. Cioè, nemmeno quella di un alieno particolare, no; proprio quello generico: grigio, basso, occhi neri, testone, ok? Ecco, che c’entra questo con Punto di non ritorno? 

Semplice: gli anni novanta sono stati quelli del "I Want to Believe" di Mulder e Scully. Gli anni in cui il dottor Daniel Jackson correggeva scienziati meno dotati che prendevano “Porte del cielo” per “Porte delle stelle”.

Addirittura, in America, in quegli anni lì, andavano un casino i presidenti che facevano saltare in aria astronavi aliene per festeggiare il Giorno dell’indipendenza. Se non fosse sufficientemente chiaro, lo spazio e i suoi eventuali abitanti, ti sono stati letteralmente sparati in gola. 

Da Men in Black a Mars Attacks!, passando per Space Jam fino a The Faculty, tralasciando, ovviamente, le dozzine di titoli meno famosi che nel frattempo andavano e venivano a scadenza regolare, gli alieni t'uscivano veramente fuori dalle fottute pareti.


Allora, siamo nel 1997 ed ecco che ti ciccia fuori Paul “al secolo senza W. S.” Anderson. Regista giovine e dinamico a cui affidano 'sto progetto altrettanto giovine e dinamico. Così, con Punto di non ritorno, pure Anderson può dire la sua a proposito di alieni.

Quindi, Punto di non ritorno manco inizia e la qualità, subito, vola altissima. Te ne accorgi, proprio perché di norma, i film di qualità partono tutti attaccando subito con lo splendido W.O.T.. Cioè, il Wall of Text. Cioè ancora, il muro di testo a schermo.

Infatti, parte 'sta pappardella in cui si dice che nel lontanissimo 2015 l’uomo è riuscito a colonizzare la Luna. Bene. Fatto che ha dato il via a una nuova era di esplorazioni spaziali. Benissimo. Nei successivi trent’anni, anno più anno meno, pure Marte viene colonizzato.

Marte diventa 'na specie di via della seta per il commercio planetario e arriviamo così al 2040: anno del viaggio inaugurale della Discover… no, 'spetta. Della Event Horizon. Sfortunatamente, il Titan… la Horizon, arrivata nei pressi del pianeta Nettuno, scompare senza lasciare traccia.


Passano altri sette anni e la Horizon ricompare misteriosamente. Così, di botto. Ecco, tutta ‘sta manfrina perché dovrebbe fregare qualcosa? Nel senso, si tratta d'informazioni utili o quantomeno rilevanti ai fini della storia e del suo eventuale prosieguo? No. 

Per capirci, ci sono casi in cui il w.o.t. è utile. Tipo Guerre Stellari, no? "Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...", giusto? Trenta secondi, imposti il setting della storia, fai capire a grandi linee al pubblico dove stai andando a parare e via. A posto così.

In Punto di non ritorno invece, serve solo ad allungare, inutilmente, il brodo. Ché tutto ciò che materialmente conta è la scomparsa della Event Horizon. Tutto il resto, non solo è inutile perché facilmente esplicabile/deducibile, ma non se ne parlerà mai più.

Quindi, segue 'sta bella panoramica della Event Horizon alla deriva, che stringe e poi stacca su un uomo, dal corpo martoriato e tumefatto, che fluttua nella cabina di pilotaggio. A quanto pare, questa era, boh... un’allucinazione? Un incubo? Una premonizione, forse? Vattelapesca.


Comunque, sta tutto nella testa del dottor William Weir (Sam Neill, in quegli anni l’uomo più scienziato di Hollywood insieme a Jeff Goldblum), a bordo della Lewis and Clark. La nave mandata a scoprire cosa sia successo alla Event Horizon.

La Uss Sulac… cioè, la Lewis and Clark, guidata dal capitano Miller (Laurence Fishburne) in una parola, è fantastica. Non tanto per il design, quanto per quei piccoli dettagli che danno carattere. Tipo, il capitano di una nave spaziale con il giubbotto di pelle alla Fonzie, per dire.

Oppure, l’intero equipaggio che fuma in continuazione. A bordo di una nave spaziale in missione nello spazio profondo dove, tra l’altro, i depuratori di CO2 avranno un ruolo fondamentale nella storia, tutti quanti stanno sempre con la cicca in mano.

Sì, non è il massimo in termini di plausibilità, però... dai, questo è bello, bisogna riconoscerglielo. A ogni modo, il punto dovrebbe essere, su carta almeno, scoprire cosa sia successo alla Event Horizon, giusto? Giusto.


Perciò, da Punto di non ritorno a Punto e a capo è un attimo. Infatti, via a spiegare di nuovo la stessa storia della scomparsa della nave, peso peso e paro paro come spiegata all'inizio. Così, giusto se a qualcuno fosse sfuggita qualche parola dell'assolutamente inutile muro di testo iniziale.

Però, il dottor Weir aggiunge che in realtà, la Event Horizon non era una semplice nave, ma un progetto top secret. Il motore, progettato e costruito da lui, altro non è che un buco nero in miniatura. In grado di generare dei wormhole che permettono alla Horizon di aggirare le leggi della relatività.

In altre parole, la nave ha la capacità di attraversare lo spazio-tempo coprendo distanze siderali in poco più di una manciata di giorni anziché in centinaia di anni. Peccato che in Punto di non ritorno il dottor Weir spieghi 'sta cosa ancor più terra terra, passando direttamente ai disegnini.

Il fatto è che i personaggi di Punto di non ritorno, cioè l’equipaggio della Lewis and Clark, non siano lì per caso. In teoria, si tratta di personale altamente qualificato con il compito di recuperare un’altra nave alla deriva. Quindi matematica, fisica e ingegneria dovrebbero essere le basi. Comunque.

Finito il corso accelerato di scienza for dummies, tutti si preparano per la criostasi in rotta verso Nettuno. Poco prima del risveglio, il dottor Weir ha un’altra volta strane visioni come all’inizio del film. Stavolta si tratta della moglie.


Risvegliatisi tutti nei pressi dell’orbita di Solaris… Nettuno, il "Dottor Scienza" tiene un’altra bella lezioncina. A quanto pare, la Nasa s'è accorta della ricomparsa della Event Horizon perché qualcuno o qualcosa a bordo della nave ha inviato un segnale di soccorso. 

Solo che questa specie di s.o.s. sembrerebbe un tantino criptico, diciamo. Ascoltando la registrazione si sente una voce che farfuglia qualcosa di incomprensibile. Il resto sono urla agghiaccianti, ruggiti e vagiti con sottofondo di statica

Il dottor Weir, attenzione, spiega che alla Nasa, dopo aver filtrato e pulito più e più volte il segnale con le sofisticatissime attrezzature a disposizione, non sono riusciti a venirne a capo e decifrare il messaggio.

D.J. (Jason Isaacs) il medico di bordo, un tipo che su una nave spaziale va in giro con bisturi e siringhe nel taschino del gilet da pesca, ascolta il messaggio una e una volta soltanto. Automaticamente, a botta secca, capisce che la voce parla in latino e traduce al volo.


Ora, una cosa del genere può significare solo due cose: che nel 2047 le sofisticatissime attrezzature della Nasa si riducono a qualche Sapientino e magari un paio di Commodore 64. Oppure, c’è un vergognoso problema di compravendita di posti di lavoro.

Comunque sia, finalmente mettono piede all’Overlook Hot… a bordo della Event Horizon iniziando l’esplorazione ed è qui che Punto di non ritorno comincia a farsi strano. Davvero strano. Innanzitutto il design della nave.

In sé non è male, no. Se al massimo ti chiami Ludwig Von Stranopaper e non vuoi che Zio Paperone trasformi il tuo castello in un hotel. In altre parole, su carta la Horizon dovrebbe essere un super-avveniristico mezzo di esplorazione spaziale.

Metti invece che pare più il castello di Dracula con due razzi attaccati dietro. Sale piene di colonnati e archi a volta tipo gotico-barocco? Porte con spuntoni a corredo di corridoio con lame rotanti? Lampi a convenienza fuori dai finestrini? 


Punto di non ritorno è un film particolare. Almeno una volta andrebbe visto, sicuro. Perché Punto di non Ritorno sia un buon film? Assolutamente no. Perché è interessante/intrigante/particolare per tutta una serie di motivi sbagliati.

In sostanza, la grande svolta del film sta nel fatto che il motore crea-buchi neri della Event Horizon apre un passaggio interdimensionale fra il nostro piano esistenziale e l’inferno. Nella sua contorta logica, dice che la nave stessa è diventata una specie d’estensione di questa dimensione infernale.

Ecco, l’inferno visto come una dimensione a se stante, seppur non originalissima, basta vedere Mutant Chronicles o WarHammer, come idea è fantastica. Sfortunatamente, Punto di non ritorno abbandona subito questo nucleo centrale per concentrarsi su 'na marea di cazzate.

Al di là della mezza dozzina e più di film da cui Punto di non ritorno va palesemente a pescare senza un preciso perché, il riferimento più evidente è Shining. Il problema è che negli anni '90 a Hollywood si stava facendo a gara con i film di alieni, in 'sta specie di matta e disperata corsa allo spazio.


Così, a un certo punto, lo sceneggiatore Philip Eisner, lo stesso che ha scritto poi capolavoroni come L’incendiaria e Mutant Chronicles, si presentò a quelli della Paramount con questo bel compitino. Compitino che, in sintesi, suonava più o meno così: 

Futuro. Nave spaziale alla deriva nello spazio. Equipaggio assalito da feroce mostro alieno. Muoiono tutti, tranne il/la protagonista. Cioè, una storia incredibilmente coinvolgente che nessuno aveva mai sentito, proprio.

Perciò, contattarono Paul W.S. Anderson e gli dissero: “Oh, senti, c’abbiamo ‘sta sceneggiatura. Vedi d'aggiustarla un po’ e facciamo tipo Shining, però nello spazio”. Invece l’idea di Anderson era tutt’altra. Ci voleva mettere il suo.

Anderson voleva portare a schermo la sua personale concezione di orrore, variante spaziale di Hellraiser. Bravo, e come andò a finire? Che la scadenza per la distribuzione era agli sgoccioli e il girato finale si aggirava sui centotrenta minuti. 

Buffo a dirlo oggi, però, centotrenta minuti erano troppi per quei novanta che all’epoca erano lo standard. Con il pepe al culo e minacciato di essere crocifisso in sala mensa, Anderson dovette montare il film in fretta e furia tagliando la bellezza di quaranta minuti.





Quaranta minuti che, a quanto pare, non erano altro che un’infinita sequela d’immagini grottesche, gore, mutilazioni e violenza ai limiti dell’osceno. Ritenute eccessive anche per un film R-Rated. Di tutto questo, in Punto di non ritorno non restano che sporadiche tracce sparse qua e là. 

Oltre vent’anni dopo, mettersi a pontificare è una cosa abbastanza inutile. Del senno di poi son piene le fosse, no? Se Punto di non ritorno all’epoca non fosse stato tagliato alla cazzomannaggia sarebbe stato meglio? Forse peggio?

Magari quei quaranta minuti in più avrebbero dato un senso a una storia confusa e contraddittoria o forse no, vallo a sapere. Quel che conta è il risultato; e il risultato visibile oggi non è un granché. 

Così, giusto per dire un'altra, in Punto di non ritorno viene detto più e più volte che lui l’ha progettata e costruita, sì. Però, il dottor Weir, sempre come detto più volte, sulla stramaledettissima Event Horizon non aveva messo piede manco una volta.

Quelle visioni o qualunque cosa siano, che si vedono fin dall’inizio, non solo non hanno il benché minimo senso, ma fanno pure capire in circa 3,2 secondi quella che dovrebbe essere la rivelazione finale. Ridicolizzandola, per giunta. 

Questo perché nella foga di rimanere sulla falsariga di Shining, nessuno s'è preso la briga di considerare se certe soluzioni funzionassero o, almeno, avessero un senso. Il fatto è che Punto di non ritorno si basa su un soggetto molto attraente, sviluppato poi malissimo e realizzato ancora peggio. 

C’è intrinsecamente un potenziale enorme che ti porta a desiderare di sapere, di vedere cosa si potrebbe ricavare. Sono questi accenni a quel che si nasconde dietro, a renderlo tanto intrigante. Così com’è invece, Punto di non ritorno è un film piuttosto mediocre. 

Un film per cui vale lo stesso discorso di Alien 3: alla fine, uno rimane deluso perché ciò che accade nel film è molto meno interessante di come appare, mentre sta accadendo.


Detto questo, credo che anche oggi sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

Commenti

Le due righe più lette della giornata