ROBOCOP (1987) - UNA VERA STORIA AMERICANA



Suppongo che a questo punto dovrò dire cos’ho imparato, diceva il giovane Danny Vinyard nella sua Storia Americana X. La conclusione, giusto? Bene: il succo è che Paul Verhoeven, un olandese, è riuscito letteralmente a catturare un’epoca, delineandola meglio di quanto avessero fatto molti suoi colleghi, veri americani. RoboCop è un’istantanea, appunto. La cui introspezione sociopolitica, tramite una satira piuttosto pungente, evidenzia benissimo la contraddittoria bellezza della società americana degli anni ’80.

Su carta, c’è da dire che RoboCop, pare ‘na bella cazzat… piuttosto sciocco. Super-poliziotto robotico costruito per fermare i criminali. Eh... Pure il titolo, effettivamente, non è proprio il massimo, insomma. Certo, meglio dell’iniziale SuperCop, ma tant’è. Infatti, quando Ed Neumeier e Michael Miner, gli sceneggiatori del film, iniziarono ad andare in giro a proporre il loro script, non gli risero appresso ma quasi. Nessuno studio voleva finanziare il progetto, tanto meno c’era qualcuno che volesse dirigerlo.

O meglio, in realtà uno ci andò molto vicino ad accettare: Alex Cox, il regista di Repo-Man; ma anche lui diede forfait quando gli negarono la possibilità di apportare alcune modifiche alla storia. Comunque. Alla fine, dopo aver tirato nella mondezza la sceneggiatura ché un tantino schifato pure lui e ripescata poi dalla moglie che lo convinse a continuare a leggerla, ad accettare di dirigere RoboCop, fu appunto Paul Verhoeven.

Così, il primo film hollywoodiano di Verhoeven mette in mostra un futuro non lontanissimo; e manco poi tanto dissimile dal suo presente, s’è per questo. Un futuro che pesca a piene mani da tutto ciò che ha caratterizzato gli anni ’80: Ronald Reagan - Reagan, l’attore?! E il vicepresidente chi è? Jerry Lewis?! - alla Casa Bianca. La crisi e il successivo rampantismo economico che ha esasperato ancor di più il divario fra le classi sociali. La paranoia di un conflitto atomico. C'era tutto, insomma.

RoboCop è riuscito catturare un’epoca. Un’epoca di spietatezza corporativa. Così, su due piedi, in termini di paragone si potrebbe citare American Psycho di Brett Easton Ellis. Altra storia in cui viene fuori il contradictio in adiecto di una società dove tutti sono prevalentemente interessati al guadagno materiale e alle apparenze superficiali. Come il Patrick Bateman del romanzo di Ellis, così Richard “Dick” Jones della OCP in RoboCop agisce come se tutto, comprese le persone, fosse una merce.

In questo senso, se c'è una cosa - a volerne scegliere una sola - da apprezzare di Paul Verhoeven, ecco, quella è la sua capacità di analizzare il contesto e di conseguenza, prendere pacatamente per il culo tutto ciò che lo circonda. Per capirci, parlando di RoboCop in un’intervista se ne uscì con:

"Ai tempi in cui stavo facendo RoboCop, guardavo la società americana e ne ero stordito. Era tutto così diverso dalla vita in Olanda. Un sacco del mio, diciamo stupore, è in Robocop. Nei suoi finti spot pubblicitari, notiziari e così via, e anche la certa distanza dei personaggi."

Anni dopo, invece, in un'intervista alla rivista Filmmaker del 2012, Verhoeven torna indirettamente sull'argomento - sottolineando, senza saperlo, 'na bella problematica che oggi ci stiamo sciroppando tutti bene bene - parlando dei suoi anni in America rispetto al suo ritorno a fare film in Europa:

"Negli Stati Uniti è più una cosa del tipo che arrivi, ti dicono quello che vogliono e tu lo fai. L'unico modo per far passare la tua visione è essere anche il produttore dei tuoi film, come Spielberg, per esempio... no, c'è pochissimo spazio per la creatività, almeno per me. Se voglio fare qualcosa allora lo faccio in Europa."

A ogni modo, il fil rouge del distacco, cioè di una società talmente alienata da riuscire a somatizzare qualunque cosa, finanche il peggio orrore, oltre che in RoboCop corre anche attraverso i successivi Atto di Forza e Starship Troopers. La televisione, le pubblicità martellanti, lo scopo di questi espedienti metanarrativi è fare da sottotesto. Praticamente uno sfondo che mette in risalto la violenza delle storie mostrate in primo piano. 

Oltre a dare colore, poi, il messaggio è palese: mostrare i diversi modi con cui, attraverso la televisione, si può facilmente manipolare l’opinione pubblica distorcendo i fatti. Infatti, RoboCop inizia proprio così: con un telegiornale. Tralasciando il messaggio intrinseco, il colpo di classe sta nel fatto che al posto del solito, orribile w.o.t. - wall of text, cioè il muro di testo, insomma - ‘sto finto tg, tipo narrazione epistolare se vogliamo metterla così, è l’introduzione alle vicende. 

Quindi, dalle notizie del giorno s’è capito che siamo in una distopica Detroit del futuro. In cui il crimine è talmente radicato, da essere diventato praticamente uno stile vita. In tutto questo, l'agente Alex Murphy (Peter Weller) viene distaccato al distretto di Detroit sempre più a corto di uomini.

Nel frattempo,  la potentissima multinazionale Omni Consumer Product stipula un contratto con l’amministrazione comunale per dirigere il dipartimento di polizia. Lo scopo della OCP è quello di accaparrarsi tutta Detroit, stroncata dai debiti, per pochi spicci. Raderla al suolo e al suo posto costruire Delta City: un’utopistica metropoli di loro esclusiva proprietà, naturalmente.

Paradossalmente, l’unica cosa che divide la OCP dal mettere in pratica i suoi progetti è il crimine della vecchia Detroit. Cosicché, il capo della divisione sicurezza della OCP, Richard "Dick" Jones (Ronny Cox che un paio d’anni dopo tornerà a lavorare di nuovo con Verhoeven interpretando Vilos Cohaagen in Atto di Forza) se ne esce con la sua brillante soluzione: ED-209.

Un robot messo a pattugliare le strade che non ha bisogno di dormire, mangiare e tanto meno di diritti. Ovviamente pesantemente armato, corazzato, efficiente e letale. Alé. Obiettivo di Jones: sostituire tutti (o quasi) i poliziotti di Detroit con le unità ED-209. Tra l'altro, interessante notare come, giusto in una manciata di secondi, Verhoeven sia riuscito a mostrare tutta la sgradevolezza di questo personaggio.

Appunto, durante la dimostrazione di prova, ED-209 mostra tutta la sua efficienza massacrando a mitragliate uno dei dirigenti del consiglio d’amministrazione; cosa che verrà definita da Jones "un semplice disguido" e liquidato in quattro e quattr’otto. Seems legit.

Dall’altro lato della città, invece, Murphy e la sua nuova compagna Anne Lewis (Nancy Allen che alcuni anni prima e con diciotto kg di lacca in più era la bulla Chris in Carrie – Lo sguardo di Satana) stanno a prendersi il caffè e a gozzovigliare. Con Murphy che continua a fare la cazzata di roteare la pistola che fa tanto contento il figlio.

I problemi, però, non è che ci mettono molto ad arrivare. Ricevuta una chiamata riguardo un veicolo sospetto probabilmente coinvolto in una rapina, vanno all’inseguimento. Sfortunatamente per loro, il furgone è proprio quello della rapina, commessa da Clarence Boddicker (Kurtwood Smith, uno che alle spalle c’ha un curriculum enorme, ma che molti sicuramente ricorderanno per la parte del direttore Poe in 2013 – La Fortezza). Il più violento e pericoloso criminale di Detroit e la sua banda.

Aperta e chiusa parentesi: a proposito di Boddicker, giusto giusto due cose, tanto per. Innanzitutto, un conto è la caratterizzazione, il background, dato a un personaggio su carta. Altro paio di maniche è la caratterizzazione, l'imprinting, con cui un attore dà spessore a un personaggio. Gran parte della personalità di Boddicker è merito esclusivo proprio di Smith. 

Infatti, gran parte delle sue scene vennero improvvisate lì per lì. Tipo, tanto per dirne una, non c'era scritto da nessuna parte che dopo essere stato arrestato da RoboCop, doveva sputare a spregio sul bancone del distretto di polizia e mettersi a prendere per culo gli agenti.

Altra cosa, anche se pare 'na robetta da niente, quegli occhialini con la montatura a giorno che fanno tanto sfighé, pure furono un’idea di Smith. La sua idea era quella di rendere Boddicker quanto più disturbante e sgradevole possibile, facendolo somigliare a Heinrich Himmler, il capo delle SS. In effetti, a guardarlo bene la somiglianza è notevole. Un dettaglio che fa una differenza enorme nell'economia del personaggio.

Dulcis in fundo, era previsto che RoboCop cominciasse proprio con Boddicker e i suoi uomini che rapinano la banca, sbattendo subito in faccia agli spettatori un bagno di sangue e un trionfo di corpi crivellati di proiettili. Alla fine, Verhoeven scelse di scartare l'intera sequenza, optando per qualcosa di più originale e col senno di poi, funzionale. Effettivamente, all'epoca l’uso di clip televisive nei film era ‘na cosa abbastanza singolare. Comunque.

Dopo l’inseguimento, Murphy e Lewis rintracciano la banda nella vecchia acciaieria abbandonata adibita a covo segreto. Ovviamente, senza aspettare rinforzi, c’hanno la bella pensata di prendere e fare irruzione. Aperta e chiusa altra parentesi.

Fatto interessante è che la fabbrica abbandonata è un’altra e parecchio sottile metafora, con cui viene sottolineato lo stato di decadimento di un’industria che non riesce a stare a galla. RoboCop è ambientato a Detroit, notoriamente conosciuta come Motor City, la città dei motori. Lo spettro dell'industria automobilistica americana incombe su RoboCop è ‘sta cosa, non è una coincidenza.

Capiamoci: ED-209, così ingombrante, goffo e difettoso rispetto a Robocop, non è altro che la fantascientifica incarnazione di un’industria all'esaurimento che perde terreno. Un'industria che non è in grado di evolversi, competere e tenere il passo coi modelli esteri migliori e in generale più efficienti, sotto quasi ogni aspetto.

Quindi, com’è come non è, alla fine Lewis si piglia un paio di papagni in bocca e va lunga a terra. Mentre Murphy, invece, viene circondato dall’intera banda che prima di ucciderlo, sadicamente lo torturano mutilandolo a fucilate. Fondamentalmente, questo, cioè la morte di Murphy, è ciò che s’aspettava la OCP. Il motivo per cui riassegna gli agenti in distretti pieni di crimine è in previsione del fatto che, per statistica, uno sarà ucciso in azione prima o poi.

Dopo il fallimento della dimostrazione di ED-209, Bob Morton (Miguel Ferrer) ambizioso dirigente junior, coglie al volo l’opportunità di presentare il proprio progetto di un cyborg sperimentale e la morte di Murphy, dunque, gli capita a fagiolo. Perciò la OCP recupera il suo corpo e lo seleziona come candidato per il progetto RoboCop. 


Del corpo di Alex Murphy, di organico, rimane solo il cervello e un tratto digestivo ridotto a uno stato rudimentale. Il restante 90% viene sostituito da un apparato cibernetico. Dopodiché, RoboCop viene programmato con tre direttive: servire l’ordine pubblico, proteggere gli innocenti e applicare la legge. Sebbene Morton e il suo team non siano a conoscenza di una quarta direttiva segreta.

A partire dalla sequenza della rapina al grocery store, si può notare bene in ogni scena l’uso che Verhoeven fa della televisione. I programmi e le pubblicità, sono parte, integrante, della storia e dei personaggi al suo interno che ritraggono un’immagine squallida di una società futura non molto diversa dalla nostra.


In cui da un lato, i notiziari forniscono uno spaccato di realtà orribile. Mentre dall’altro, varie società vendono spauracchi di cattivo gusto a buon mercato. Come il gioco da tavola Nukem - altro chiaro riferimento alla politica della Guerra Fredda di Reagan - che trasforma l’orribile prospettiva di un armageddon nucleare in un divertimento per tutta la famiglia.

Oppure, la magnifica SUX 6000. Una vera tradizione americana, secondo lo slogan. Un auto orrenda e inutilmente grande - appunto ingombrante come ED-209 e antiquata come il dinosauro nella pubblicità - che fa tipo un chilometro in città e due in autostrada con un pieno. Proprio come piace agli americani. 

Al di là del fatto che la SUX 6000 è clamorosamente, inquietantemente vicina ai moderni SUV, da notare il giusto giusto piccolissimo dettaglio di come la parola si pronunci allo stesso modo di SUCKS (schifo). In altre parole, staresti comprando la Schifo 6000. Bello, eh? Ora, capiamoci n’attimo: chiaramente, non è tutto ed esclusivamente merito suo, eh. Intanto...


Tralasciando Atto di Forza, guardando RoboCop e Starship Troopers, stiamo parlando di un tizio, Verhoeven, riuscito a farsi pagare milioni per mettersi lì e prendere per il culo le stesse persone che lo pagavano. Pura poesia. Tuttavia, questo era il 1987. Questo era, ERA, RoboCop.

Una storia a più livelli d'incassamento che tra il serio e il faceto, usava un super-robot futuristico per mostrare i pericoli delle business-for-profit senza controllo, la spietatezza corporativa, l’influenza che i media possono esercitano su 'na società moralmente anestetizzata  e via dicendo. Inizialmente pochi ci credevano; ma, alla fine, RoboCop fu un successo. 

E cosa succede quando un film su soggetto originale diventa un successo? Esatto: si spalancano le porte (dell’inferno) dei seguiti.


Dal film originale venne fuori di tutto. Due seguiti, uno più blando e sciacquo dell’altro. Due serie animate, RoboCop e RoboCop: Alpha Commando, andate in onda rispettivamente una alla fine degli anni ’80 e l’altra dei ’90. Due serie televisive. Una, RoboCop del ’94 andata in onda anche da noi, stucchevole e dal taglio da classico prodotto televisivo per famiglie. L’altra, RoboCop: Prime Directives, più seria e inerente al film originale ma dal budget tremendamente basso. 

Dulcis in fundo, un remake PG-12 di pochi anni fa, che definire ridicolo sarebbe solo un simpatico eufemismo. Anzi, proposito del remake di RoboCop (e non solo), vale la pena riportare cosa disse in merito Verhoeven in un’intervista a ridosso del rilascio:

"In qualche modo, sembrano pensare che la leggerezza nei modi di portare il messaggio in Atto di Forza e RoboCop, sia una specie di ostacolo. Quindi, prendono queste storie assurde e fantasiose e le rendono tremendamente serie. Penso sia un errore. Soprattutto quanto fatto in RoboCop. Quando si risveglia, gli danno lo stesso cervello."

"Murphy è una vittima. Orribilmente mutilata. La sua è una storia tragica sin dall’inizio. Perciò non abbiamo fatto questa cosa in Robocop (1987). Il suo cervello, la sua identità è sparita, ha solo dei lampi di memoria e ha bisogno del computer per rimettere insieme i pezzi poco alla volta e ricordare chi era."

"Penso che non avere un cervello robotico, renda tutto molto più pesante e non credo che la cosa aiuti il film in alcun modo. Così diventa sciocco e assurdo nel modo sbagliato. Entrambi questi film (Atto di Forza e RoboCop) hanno bisogno della giusta distanza della satira o della commedia per essere indirizzati al pubblico. Andare dritti senza umorismo è un problema, non un miglioramento."

Insomma, chiaro a ‘sto punto che RoboCop fosse diventato un giocattolino, no?


Le cose, avrebbero potuto essere molto, molto diverse, sì. Però, ora, già il pippone è troppo lungo così com'è. Aprire una parentesi pure su tutta la storia di RoboCop 2, facciamo notte e non è il caso. Quindi, il succo è quando, nel 1988, s’iniziò a lavorare su Robocop 2, le cose si rivelarono piuttosto complicate a causa dello sciopero degli sceneggiatori. Cosicché, ci fu il bisogno di ricorrere a vie traverse.

Riconoscendo l’influenza che i fumetti dei supereroi avevano avuto, per scrivere RoboCop 2, gli studios si rivolsero a Frank Miller. Grazie al suo lavoro su Daredevil, ma soprattutto, il grande successo di The Dark Knight Returns, Miller s’era fatto ‘na certa nomea. Tale da catturare l’interesse dei dirigenti di Hollywood. Grande fan di Robocop, aveva subito accettato ed era impaziente di cominciare a scrivere la sceneggiatura del sequel. 

Purtroppo, la visione di Miller, faceva a cazzotti con quella degli studios, che avevano in mente un film decisamente più attenuato rispetto al primo RoboCop. Di certo, non più violento. La storia scritta da Miller era ancora più viscerale nello scagliarsi contro l’America corporativa e qualsiasi forma di autorità. Spingendo tantissimo su ‘na satira sociale torbida e volutamente esagerata. Proprio quello che avevano in mente i produttori sperando di vendere i giocattoli, insomma.

Il mondo di RoboCop era un crogiolo iperbolico di tutte  le paure degli anni ’80: aumento del crimine, tensioni sociali, crisi energetiche, Guerra Fredda e compagnia cantante. Agli occhi di Frank Miller però, la più grande minaccia era il politically correct: non c’è niente di peggio, pensava all'epoca, della fredda omologazione coatta in cui ogni pensiero dev’essere, necessariamente, pesato sulla bilancia dell'isterica correttezza politica prima di essere espresso. Eh...

Hey, Frank: benvenuto nel mondo del domani, insomma.

Comunque, Miller dovette poi abbandonare sia le linee guida della prima bozza del seguito scritta direttamente da Ed Neumeier e Michael Miner, sia la sua a causa dei contrasti con la produzione che tutto volevano, tranne che una roba ancor più aggressiva. Perciò riscrisse una seconda bozza, più annacquata. Annacquata ancora di più, a sua insaputa, da un secondo scrittore chiamato a correggerla e diventata poi la sceneggiatura effettiva di RoboCop 2. 

 A parte Miller, anche il cast rimase deluso da ‘sta cosa. Tanto che perfino Peter Weller e Nancy Allen ammisero di preferire molto di più il concetto originale di Miller, rispetto al prodotto finale; ma che vuoi farci...  Così è la vita.


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.


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