MAD MAX - Tutto quello che avreste voluto sapere sulla saga



Tutto quello che avreste voluto sapere sulla saga di Mad Max* *ma non avete mai osato chiedere. Bene. Allora, se c'è una cosa (fra le tante) veramente infognate riguardo Mad Max, in generale, ecco quella è l’approccio con cui George Miller s'è rapportato a un genere, già all’epoca, ampiamente quanto largamente sfruttato. Come nel tempo, cioè, Mad Max, nella sua visio mundi si sia rivelata un’opera quasi propedeutica.

In altre parole, il succo è che prima di allora non c’era niente come Mad Max.

Praticamente, nel 1979 un poco più che trentenne George Miller, medico al pronto soccorso dell’ospedale di Sidney col pallino del cinema, riesce finalmente a concretizzare il suo sogno bagnato: realizzare un vero e proprio film. Tenendo però presente che la somma racimolata per il progetto era di 350mila dollari circa; cosa che per un film, pur volendo considerare l'inflazione, sta comunque a metà strada tra 'na barzelletta e una presa per il culo, insomma.

Inoltre, siamo pure in un’epoca in cui, a differenza di oggi, i film non uscivano a pacchi da tre tipo offerta convenienza del discount. Non si usciva dal cinema parlando dello spin-off del prequel di un sequel già annunciato nei titoli di coda. Perciò, il fatto che Mad Max abbia generato una trilogia proprio in quegli anni basterebbe già a far capire le dimensioni della sua importanza. Comunque.

Interceptor (Mad Max – 1979)

A una prima occhiata, Mad Max sembrerebbe non andare oltre il classico prodotto di exploitation dell’epoca. Tipo, tanto per dire, Zozza Mary, Pazzo Gary, Anno 2000 – La Corsa della Morte, Punto Zero, Faster, Pussycat! Kill! Kill! e compagnia cantante. Vero. Tuttavia, Miller ha saputo sfruttare - e successivamente elaborare - tutto ciò da cui ha preso ispirazione portando sullo schermo una visione del futuro raramente vista prima di allora.

Capiamoci un attimo: dagli anni cinquanta la distopia - o fantascienza sociologica, come andava di moda chiamarla a quei tempi - entrava di giustezza scavandosi la sua nicchia nell’immaginario collettivo. Scrittori come Robert Sheckley, John Wyndham, Harlan Ellison e compagnia cantante cominciavano allegramente a dare libero sfogo alle peggio paranoie. Di ogni forma, misura e colore.

Per esempio, prendi La rivolta di Atlante, romanzo di Any Rand uscito nel 1957: una futura società (distopica) messa in ginocchio dalla crisi economica, con relativa disoccupazione e statalismo imperante. Sulla base della “teoria oggettivista”, in quella storia Rand si chiedeva cosa sarebbe successo se i membri della società in grado di creare ricchezza si fossero ribellati allo status quo di “schiavi inconsapevoli”.

Gran romanzo, assolutamente sì. Peccato che allora tutto c’era tranne che la preoccupazione per un’eventuale crisi energico-economica. Vedi Detroit, no? Negli anni '50 una delle città più ricche e prosperose d’America che alla fine, fra alti e bassi, nel 2013 è letteralmente collassata su se stessa, tanto che il governo ha addirittura dichiarato fallimento. Al contrario, ciò che alimentava le immaginifiche distopie di scrittori e registi al tempo della guerra fredda era la prospettiva di una guerra atomica.

In questo senso, emblematico il film … e la Terra prese fuoco (The Day the Earth Caught Fire) del 1961. Film che fra le molteplici visioni apocalittiche gentilmente offerteci negli anni su come il mondo finirà, probabilmente è una delle più “accattivanti”. Uno sguardo piuttosto cinico all’Atomic Age e le sue conseguenze, con la Terra, nella finzione della storia, sbattuta fuori dalla sua orbita a causa di test atomici e spedita, lenta ma inesorabile, verso il Sole.

Che te le dico a fare: metti la prospettiva di un orribile morte e puff! Proprio un attimo che il tessuto sociale collassa su se stesso. Ora, tutto molto bello, certo. Però vediamo pure di capirci su questo: distopia è un termine piuttosto generico. In quanto la distopia, contrario di utopia, non è altro che “l’esercizio” d'immaginare in che modo le cose possano andare inesorabilmente a puttane.

Solo che La fuga di Logan, L’uomo che fuggì dal futuro, 2002: la seconda odissea, Un mondo maledetto fatto di bambole, 2022: i sopravvissuti, 2000: la fine dell’uomo e così via, sono tutti film, tutte storie che andavano a parare sulla disgregazione collettiva innescata da tendenze sociopolitiche negative che per estensione, portavano a tecnocrazie asfissianti e nocive. Oppure, a conflitti e cataclismi devastanti su scala globale, oppure ancora a una combinazione delle due cose come conseguenza l’una dell’altra.

Tutta 'sta pappardella, in sostanza, per dire che per quanto l’ipotesi di un’apocalisse nucleare sia un incubo, ciò che fa emergere Mad Max dalla kermesse di film distopici - sia di ieri che di oggi - è che in meno di 90 minuti, anziché concentrarsi sulle sequenze d’azione o set-piece di sorta, va esattamente nel senso opposto, optando per passare la maggior parte della sua durata costruendo il proprio mondo. 

Essenzialmente, Miller lascia che il pubblico diventi parte di esso e del lento quanto inesorabile disgregamento del tessuto sociale costituito. Un po’ come ne Il Condominio di Ballard, se vogliamo. Però su scala globale. Il punto è che Mad Max non è venuto fuori da chissà quali fantasiose ipotesi distopiche, eh, ma da fatti che sono accaduti sul serio. Per farla breve, nel 1973 scoppiò la Guerra del Kippur tra Israele e i Paesi arabi, ok?

A quel punto l’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) alzò il prezzo del petrolio a livelli mostruosi per colpire gli occidentale dove fa più male: al portafogli. Poi, ancora, pochi anni dopo la rivoluzione iraniana nel 1979 portò a una nuova crisi energetica definita “Second Oil Shock”. In sostanza, 'sti fatti portarono un po' tutti a riconsiderare il problema dello sfruttamento delle risorse.

Soprattutto gli americani: fabbricare auto con motori V8 da 5.8 L che sanguisugano benza come se non ci fosse un domani non era proprio convenientissimo in termini energetici. Ecco, questa era la base di Mad Max: un mondo in cui non s’è verificato nessun fantasioso disastro ecologico o nucleare. Semplicemente, Miller aveva immaginato cosa sarebbe successo se la crisi energetica del 1973 (e del 1979) avesse preso una brutta piega. 

Nel film il carburante, base e fonte di ogni comfort moderno, diventa una rarità; e anche se in tanti cercano di mantenere un comportamento relativamente pacifico e civile, molti di più iniziano a darsi all’anarchia totale. Così, il mondo inizia a regredire, a diventare sempre più oscuro. Dove le bande con meno scrupoli nel cercare di accaparrarsi tutto ciò che possono si fanno strada attraverso il Paese, terrorizzando la popolazione.

In tutto questo, gli unici che almeno ci provano a far rispettare l’ordine sono un ristretto gruppo di tutori della legge riunitisi sotto il nome di Main Force PatrolMax Rockatansky è appunto uno degli agenti della MFP che cerca di opporsi alla violenza dilagante. Per quanto possa essere dalla parte dei buoni, la sua è comunque una personalità abbastanza complessa, diciamo, messa a rischio dalla violenza che tenta di contrastare. 

Quando Toecutter - interpretato da Hugh Keays-Byrne che tornerà poi in Fury Road nei panni di Immortan Joe - a capo di una banda di disadattati ultraviolenti, uccide per sfizio e vendetta prima il miglior amico e poi la famiglia stessa di Max, qualcosa dentro di lui si rompe. Per Max, queste morti sono la parola fine alla sua carriera di poliziotto, del tentativo di fare sempre la cosa giusta, di essere il bravo ragazzo, il buono della situazione. Max cede e impazzisce. 

Ciò che alla fine emerge da Mad Max, non è altro che la parabola discendente di un uomo verso il baratro, fino a trasformarsi nella cosa che temeva di più: uno di quelli che ha tentato di combattere. Ciò che rimane è un uomo svuotato di tutto, ridotto a un unico, primordiale istinto: sopravvivere.

Interceptor – Il guerriero della strada (Mad Max 2 – 1981)

Così, Mad Max - o Interceptor, come conosciuto qui da noi - fu un enorme successo, incassando quasi trenta volte il suo budget. Perciò, giusto un paio d’anni ed ecco che George Miller continua la storia di Max. Stavolta, però, il setting è diverso. Non c’è più "l'eroe", un uomo che in un mondo allo sbando tenta di fare la cosa giusta. In Mad Max 2 c’è solo un uomo che si trova a fare i conti coi postumi della sua psiche incrinata in un mondo andato adesso completamente all'aceto.

Infatti, pure se forse non proprio-proprio chiarissima, una cosa da tener ben presente è che la storia di Mad Max 2 è ambientata tre anni dopo i fatti del primo Mad Max. Nell'arco di questo tempo, l'estrema carenza di risorse ha portato i governi alla terza guerra mondiale, culminata poi col reciproco annientamento atomico che ha messo definitivamente il mondo kaputt. Ecco, effettivamente 'sta cosa è importante perché non è solo parte del processo di worldbuilding.


 In Mad Max 2 viene fuori di prepotenza un aspetto che durante la visione del primo film, per un motivo o per l'altro, potrebbe anche sfuggire: cioè che Max non è il protagonista nel senso stretto del termine, ma solo uno spettatore casuale di quanto sta succedendo intorno a lui. Appunto, con un budget minimamente dignitoso (4 milioni) e giusto un po’ di fiducia dagli studios, Miller ha continuato a dedicare la maggior parte dei suoi sforzi nella creazione di questo suo mondo.

Un mondo che alla fine non apparisse solo brutale, violento e disperato, ma vivo e pulsante. Talmente tanto vivo, da finire col diventare il punto di riferimento per ogni qualsivoglia ambientazione postapocalittica da lì a venire. Cioè, sono un fottiliardo le cose che Mad Max 2, quanto e più del suo predecessore, ha influenzato, eh; e non solo per quel che riguarda il cinema di fantascienza. 

Un po’ come Blade Runner per il cyberpunk, diciamo, si può facilmente vedere il DNA, l’estetica di un genere codificata da "Il guerriero della strada" in qualsiasi tipo di media, dai fumetti ai videogames. Fallout, Wasteland, Rage, Fuel, Borderlands e ancora, Ken il guerriero, The Last American, Tank Girl e questi, giusto per dirne al volo qualcuno, insomma. Per non parlare addirittura del wrestling, poi: di Michael “Hawk” Hegstrand e Joe “Animal” Laurinaitis, i leggendari The Road Warriors

A ogni modo, chiaro a 'sto punto che tra Mad Max e Mad Max 2 ci sia un notevole cambiamento nell’estetica, no? Se prima il mondo stava precipitando verso il baratro, ne Il guerriero della strada è evidente come le cose, dopo il conflitto atomico, siano completamente sfuggite di mano. La situazione è degenerata tanto che pure quella minima parvenza di legge e ordine tenute dalla Main Force Patrol sono scomparse. 

In questo futuro ormai postapocalittico, nel suo girovagare Max s'imbatte casualmente nella Tribù del Nord, un gruppo di tizi stabilitisi in una raffineria con tanto di pompa petrolifera funzionante. Il problema sta nel fatto che proprio a causa del carburante, la tribù è assediata dal feroce Lord Humungus e la sua banda di predoni che cercano di impossessarsene. Sostanzialmente, a Max frega meno di zero sia della Tribù che di Lord Humungus.

Tuttavia, trovatosi in mezzo accetta di aiutare la tribù a scappare recuperando una motrice per la cisterna, in cambio della libertà, della sua Interceptor e di tutto il carburante che può portarsi dietro; e anche perché ormai si è fatto nemico Wez, lo psicopatico braccio destro di Humungus. Ora, le influenze di George Miller per Mad Max 2, in linea di massima, sono abbastanza evidenti.

Al di là di tutto, chiaro quanto si sia ispirato alla struttura dei film di John Ford - la trilogia della cavalleria, in sostanza - oltre ai film di Akira Kurosawa, come I sette samurai e La sfida del samurai. Soprattutto, per l’impronta estetica, a Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici basato sul romanzo omonimo di Harlan Ellison. Anche se, come detto più volte dallo stesso Miller, il contributo più grande viene da L’Eroe dai mille volti, saggio di Joseph Campbell.

Cosa che, aperta e chiusa parentesi, dovrebbe essere insieme a Il Viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler, una lettura imprescindibile per qualunque sceneggiatore. Comunque. Il punto è che se Mad Max 2 è assurto a film di culto e ancora oggi viene ampiamente considerato come uno dei più grandi film d'azione di tutti i tempi, a voler proprio stringere al massimo il brodo, il motivo può essere semplicemente riassunto con l'incredibile lungimiranza di George Miller.


In altre parole, dimostrando di aver più che chiaro il concetto di "show, don’t tell", Miller ha rimodellato il tropo dell'assedio portandolo da statico a cinetico. Ricomponendo e poi trasformando la formula originale e della costruzione narrativa raccontando la sua storia attraverso le sequenze d’azione. A questo mettici pure i costumi, l’aspetto, l’estetica generale del film, normale poi venga fuori tutta quella potenza visiva di un futuro distopico ultra-spettacolarizzato, insomma.

Mad Max 2 è un film di pura azione, di energia cinetica organizzata attorno all’ossatura di quella che convenzionalmente viene chiamata trama. Si sviluppa tramite le immagini di un mondo futuro violento, ma non porta avanti quella visione tramite personaggi e dialoghi. Proprio come…? Esatto: Mad Max: Fury Road. Questo perché, come detto dallo stesso Miller, Fury Road non è altro che Mad Max 2 gonfiato a steroidosoldoni; ma questo lo vediamo nella seconda parte.


Detto questo, anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.

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