Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri: UN TIRO DA VENTI



Volendo, in linea teorica, Dungeons & Dragons è concettualmente assimilabile al principio di domanda e offerta che regola l'acquisto e vendita di beni o servizi. Nel senso, di base è una nozione piuttosto semplice: la domanda esprime la quantità di un bene richiesta dai consumatori, mentre l'offerta stabilisce il valore di quel tale bene una volta immesso sul mercato. Il problema, sta nella fitta rete di variabili che porta a serie infinite d'implicazioni, connessioni e conseguenze di una complessità allarmante.

Allo stesso modo, Dungeons & Dragons è un gioco da tavolo, creato da Gary Gygax e Dave Arneson, pubblicato la prima volta nel 1974. Fondamentalmente, si tratta di un wargame: hai una mappa che mostra il terreno di gioco, i counter, cioè le pedine che a seconda dei casi possono rappresentare interi eserciti o personaggi individuali e poi, alla fine, i dadi. Questi, servono sia a regolamentare le azioni di gioco sia ad aggiungere un elemento di casualità.
Il problema?

Sulla scatola del gioco c'era questo bel sottotitolo: Regole per campagne di wargame fantastiche medievali giocabili con carta penna e miniature. Dentro, invece, ci trovavi i famosi tre manuali: Guida del Dungeon Master, Manuale del giocatore e Manuale dei mostri. In altre parole, sì, ci sono set introduttivi con ambientazioni e storie predefinite. Tuttavia, Dungeons & Dragons non è uno scenario specifico e determinato; ma un sistema di regole ideato in modo che i giocatori inventino le proprie storie.

Tradotto ulteriormente, significa che D&D, intrinsecamente, c’ha poco da spartire coi media narrativi tradizionali che ruotano sulla specificità di storie singole. Il gioco, in sé, ha le sue regole, criteri e canoni, ma in realtà si tratta di uno strumento narrativo che consente e incoraggia attivamente le persone a creare i propri personaggi e scrivere le proprie avventure. A fronte di tutto questo, se non fosse ancora sufficientemente chiaro, l’inevitabile domanda è: come fai a prendere ‘na roba simile e farci uscire un film?

Infatti, non puoi. Non in via diretta, almeno. Eppure c’hanno provato; hai voglia se c’hanno provato. Uscito quasi venticinque anni fa, appena appena un anno prima de La Compagnia dell’Anello, Dungeons & Dragons - Che il gioco abbia inizio è stato il primo tentativo di portare D&D sul grande schermo. Un film uscito praticamente a uso ridere che fa molto poco e quello che fa, lo fa pure malissimo a causa di una serie di problematiche su cui da ridere non c’era veramente niente. 

Tipo il fatto che all’epoca, Courtney Solomon, il tizio che vattelapesca come era riuscito ad avere i diritti per produrre un film su Dungeons & Dragons, l’aveva detto. Aveva provato a spiegare che non era un regista, non aveva alcuna esperienza e non era in grado di gestire un progetto del genere; ma niente, oh. Alla fine è stato messo lì dalla produzione che tutto voleva, tranne che sganciare soldi per un regista vero. Come se, del resto, i pesanti tagli a un budget già di suo misero non fossero abbastanza.

Giustamente, in virtù della capacità di giudizio, criterio, oculatezza e in generale tutto ciò che impone il buon senso, meno di cinque anni dopo, a un primo tentativo di adattamento il cui massimo risultato è stato fare schifo, c’è stato un secondo tentativo con Dungeons & Dragons 2: Wrath of the Dragon God. Stessa cosa del precedente, solo che questo era un film per la tv e aveva un budget addirittura più basso. Ciononostante, proprio perché non c’è due senza tre, c’hanno provato ancora una volta.

Nel 2012, infatti, viene fuori Dungeons & Dragons 3: The Book of Vile Darkness. Un film direct-to-video che manco lo streaming è arrivato a vedere, equivalente del mattone minimalista polacco di scrittore morto suicida giovanissimo. Copie vendute: due. Forse. La società che l’ha distribuito è andata fallita giusto qualche anno dopo. Comunque. Avete tentato al meglio e avete miseramente fallito. Quindi la lezione è: non tentare mai. Dungeons & Dragons - Che il gioco abbia inizio e i suoi seguiti sono per definizione la lezione di Homer.

Ora, nell’Anno Domini 2023, ci ritroviamo con ‘sto Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri e… Quale sarebbe la differenza con gli altri film venuti precedentemente? Tipo che stavolta c'è un budget considerevolmente più alto, forse? Un cast di attori - professionisti e non presi direttamente dalla strada - riconoscibili e di forte richiamo? Oppure, magari, nelle grandi possibilità offerte dalla tecnologia moderna? Beh, sì, in realtà anche questo.

Il punto, però, sta nel fatto che Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri è un film sorprendentemente buono, non solo a fronte di tutta ‘sta bella pappardella qui sopra; ma pure perché la grande sfida, qui, non riguarda il dover fare i conti e scrollarsi di dosso un passato fatto di tentativi che definire miserabili gli hai fatto un complimento. Semmai, il grosso scoglio da superare è rappresentato dall’equilibrio. Nel trovare, cioè, il giusto punto di contatto per far sì che un film del genere possa andar bene a tutti

La maggior parte delle volte, anzi, diciamo quasi sempre, ‘sta cosa di andar bene a tutti, si risolve col tentativo di quadrare il cerchio. Equivalente, cioè, di mettere due piedi in una scarpa e schiantarsi di faccia forte forte a terra. In questo senso, Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri si porta dietro l’onere di andar bene sia al pubblico nerdcore di fanatici sia al pubblico casual. Non solo quelli che non sanno distinguere un Beholder da un Balrog, ma tipo quelli che al cinema, se tutto va bene, ci va 'na mezza volta l'anno.

Praticamente, tutti bersagli per niente facili da centrare e che molti, spesso e volentieri, lisciano non alla grande ma alla grandissima. I co-registi e co-sceneggiatori di Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri, Jonathan Goldstein e John Francis Daley, li hanno centrati - e li hanno centrati veramente – perché, semplicemente, sono stati furbi. Furbi e soprattutto intelligenti nel riconoscere due cose. Innanzitutto, la prima e più fondamentale: Dungeons & Dragons è un’esperienza

L’intero film pare scritto col manualetto del piccolo sceneggiatore davanti. Non salta un solo punto della guida come scrivere una sceneggiatura di successo. Questo, però, non è necessariamente un male. Anzi. La furbata sta proprio in questo. Capiamoci: non che la storia manchi di cuore, eh. L’intero cast, da Chris Pine a Sophia Lillis, ognuno inchioda perfettamente il suo personaggio caratteristicamente, caratterialmente e psicologicamente, dando vita a momenti sinceri in cui riesci sul serio ad appassionarti a loro e non limitarti a sperare solo che muoiano male.

Soprattutto, e vattelapesca se ‘sta cosa sia stata veramente intenzionale o meno, sta di fatto che le dinamiche che li regolano, per quanto subordinate al mondo di D&D, rispecchiano molto più l’archetipo dei giocatori anziché del gioco in sé. In questo modo, da un lato, hai una storia che si crogiola nella semplicità di un'avventura emozionante che scorre semplice, piacevole, ambientata nel mondo fantasy di D&D che tutti possono seguire. Dall’altro, hai la possibilità di buttarci dentro riferimenti e citazioni a pacchi da tre.

Cose, essenzialmente, indirizzate specificamente agli appassionati del gioco. Appassionati, del resto, che non solo stanno lì a sciropparsi easter egg e citazioni a questo e quello; ma che possono effettivamente “sentire” quei personaggi immediatamente riconoscibili. Non come personaggi specifici in sé, quanto, semmai, come se fossero tu e i tuoi amici a tirarvi le carte in faccia e a tanto così da prendervi a bottigliate per un tiro sbagliato, insomma.

La seconda cosa, invece, quella intelligente, sta nell’aver capito che molte delle meccaniche di Dungeons & Dragons – non solo, ma dei giochi di ruolo in generale – in buona sostanza sono le stesse di un qualsiasi heist movie: stabilisci l’obiettivo, forma una squadra, raccogli oggetti specifici per la missione, sconfiggi il cattivo, ottieni il bottino. Così, torniamo al punto della sceneggiatura scritta col manualetto: il film è talmente dritto per dritto che potresti prendere i personaggi, metterli a Las Vegas e chiamarlo Ocean's Eleven. Nessuna differenza.

Sì, vero. Com’è vero che questi sono tutti archetipi, in linea di massima. Tuttavia, quando sai cosa stai facendo, sai pure come farla bene. La storia è piacevole e il cast è scelto così bene che non c'è mai la sensazione che qualcuno stia forzando la sua interpretazione. Addirittura, in molti punti, Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri ricorda la spensieratezza e la gioia de La storia fantastica.

Se solo qualcuno avesse detto: Hola. Mi nombre es Inigo Montoya…

A ogni modo, in un panorama diventato via via sempre più monotono e deprimente, finalmente un film divertente, veramente, veramente per tutti e che non pare dolorosamente forzato per aderire a questa o quella ideologia. Soprattutto, Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri è quello che, finalmente, si può definire un buon adattamento e non un disperato tentativo di raschiare il fondo di un franchise come l'ultimo, micragnoso sputo di shampoo rimasto sul fondo della bottiglia che provi ad allungare con l’acqua. 


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.

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