Evil Dead 2013 - La casa di Fede Alvarez



Allora, La Casa, per comodità da qui in poi facciamo Evil Dead 2013, arriva così, di botto e quasi senza senso, in un momento abbastanza particolare, diciamo. Il fatto è che buona parte del primo decennio del XXI° secolo è stato caratterizzato da una preoccupante invasione di remake dei classici dell'orrore. Certo che oggi, fra remake, reboot, retcon e sequel fuori tempo massimo, non che la situazione in genere sia migliorata granché, eh. Comunque.

Dawn of the Dead, The Ring, Psycho, Halloween, The Wicker Man, The Fog, Nightmare, Non aprite quella porta, Venerdì 13 e compagnia cantante. Tutti remake; e se, al di là di tutto, c'è qualcosa che proprio non va coi remake in generale, problema che poi diventa specifico con l'horror, quello è che in fin dei conti sono prodotti pigri e sciatti. Roba che a sforzo zero si limita giusto a stretchare ancora, ancora e ancora storie vecchie e stravecchie, anziché provare a esplorare nuove prospettive.

Ecco, la maggior parte delle critiche negative mosse a 'sto Evil Dead 2013 di Fede Alvarez a suo tempo, riguardavano proprio questo: il contenuto di fondo. Nel senso, non solo cadendo a distanza di vent'anni da L'armata delle tenebre, ma oltre trent’anni dopo di gente fatta pezzi pezzi uno per volta in qualche catapecchia isolata spersa in chissà quale buco dimenticato, chiaro che uno possa averne piene le pal... fin sopra i capelli di ‘sta roba. Pensiero legittimo, insomma.

Tuttavia, per quanto legittimo possa essere il pensiero, nel caso di Evil Dead 2013 si rivela un falso positivo. A differenza della maggior parte di queste produzioni degli anni 2000, il film di Alvarez s'è rivelato un punto di svolta piuttosto sorprendente, sia dal punto di vista del mito Evil Dead creato da Sam Raimi, sia nella sua forma mentis come prodotto in sé per sé. 

Quindi, Evil Dead 2013 inizia in maniera estremamente diversa rispetto al film originale del 1981. Infatti, spinge subito nella direzione verso cui l'intero progetto è stato impostato: un’estrema, eccessiva accentuazione della violenza. In pratica, nella prima sequenza c'è ‘sta ragazza che corre disperata fra i boschi nebbiosi, inseguita da ‘na banda di bifolchi che tutto sembrano, tranne che amichevoli.

Alla fine, i bifolchi poco amichevoli acchiappano la tipa e poi la trascinano giù in 'sta squallida cantinòla di una baita e la legano a un palo. Qui, a parte i pittoreschi abitanti delle zone rurali, c’è sia 'na vecchia inquietantissima che armeggia con uno strano libro e degli aggeggi di tortura, sia un tizio che poi si rivela essere il padre della ragazza; che fra una lacrima e un singhiozzo, comincia a buttarle addosso pure la benzina.

A ‘sto punto, la tipa s’imbruttisce malissimo e viene fuori che in realtà è un demone che sputa minacce e male parole a raffica. Morale della favola: tutto finisce in un atroce bagno di sangue, col padre che le dà fuoco e le fa saltare via tre quarti di testa con una schioppettata dritta dritta in bocca. Alé.

Flashforward: David (Shiloh Fernandez) la fidanzata Natalie (Elizabeth Blackmore) e il cane, stanno andando proprio in quella stessa baita, tra l'altro di proprietà della famiglia di David, spersa in mezzo ai boschi e dove ad aspettarli ci sono già gli amici Olivia (Jessica Lucas) un’infermiera, Eric (Lou Taylor Pucci) un giovane insegnante e infine Mia (Jane Levy) sorella minore di David.

A differenza di Ash e i suoi amici trent'anni prima, stavolta lo scopo del "ritiro" è provare, per l'ennesima volta, a far disintossicare Mia. Fondamentalmente 'na tossicona persa, tanto per usare un linguaggio strettamente tecnico. Appunto, il risultato migliore ottenuto da Mia coi precedenti tentativi di darsi una ripulita, sono state otto, ben otto, ore di astinenza. Mica fischi, insomma.

Ora, capiamoci: ogni film, indipendentemente da tutto, dovrebbe essere sempre in grado di reggersi da solo. A priori. Quando parliamo di remake, il discorso è sempre un qualcosa da prendere con le pinze e certo, il film di Alvarez non fa eccezione. Perché è difficile evitare confronti quando si tratta di remake. Perché portarsi addosso un titolo, come Evil Dead in questo caso, significa doversi costantemente confrontare con esso. Una cosa per nulla semplice.

Il remake, il rifacimento, non è il simbolo del peccato. Non è mai, necessariamente e a priori un male. Ci sono film, essenzialmente storie, che meritano di essere approfondite. Soggetti che magari offrono spunti per altre chiavi di lettura, esplorazione e interpretazione o magari ancora, temi che possono essere affrontati da un diverso punto di vista. Oppure, più semplicemente, ci sono film che non sono stati in grado di reggere il peso della loro idea e perciò, meritano una seconda possibilità.

I casi possono essere tanti, quindi. Poi, ovvio, normale che torniamo al discorso di prima: se a metterci mano so’ persone ignoranti come cozze morte e il cui massimo sforzo è riducibile al fare semplicemente copia-e-incolla, chiaro che il risultato sarà ‘na purga.


Con Evil Dead 2013 invece, Fede Álvarez - e il co-sceneggiatore Rodo Sayagues - fanno la cosa più giusta che si potesse fare: prende la stessa struttura e gli stessi tropi che i film originali hanno reso popolari trent'anni prima, adottando però un approccio diverso e dando così un tratto distintivo alla loro storia. In effetti, il maggior punto di forza di 'sto film sta nell’adesione ai concetti de La Casa originale, unita alla volontà di uscire da questi confini con una nuova visione. 

Ciò fa capire quanto Alvarez ami questo film: perché è rimasto fedele al materiale originale senza stravolgerlo (cosa sempre più rara ormai). Soprattutto, non s’è limitato a mettersi lì e ricopiare con la carta carbone in maniera chiusa e ottusa La Casa del ’81. In tutto questo, c'è solo un problema: aver dovuto subire il peso di un confronto costante con un film ritenuto un cult del genere. Un po' come se questo Evil Dead 2013 soffrisse di una specie d'ansia da prestazione, diciamo.

Parliamoci chiaro: la narrativa non è mai stato il punto forte di Evil Dead. Non c'è mai stata una complessità strutturale, ma solo forti suggestioni a fare da sfondo. Tipo, Ash e amici a seguito, vanno allo chalet in montagna per farsi il weekend. Punto e tanto basta. In questo senso, con Evil Dead 2013 Alvarez aggiunge sfumature. Si sforza di dare una motivazione un pochino pochino più complessa per far agire i personaggi. 

Aperta e chiusa parentesi: sì, tutti fanno un gran lavoro, questo è sicuro. Però, la cosa buffa è che in un certo qual modo, Jane Levy è diventata la giustapposizione di Bruce Campbell. Cioè, nel primo atto 'sta tipa interpreta una protagonista con un grosso problema di dipendenza. Poi, tra la fine del primo e del secondo atto, diventa la prima a essere posseduta dai deadites. Dopodiché diventa l'antagonista principale e alla fine, nel terzo atto, di botto diventa l'eroe. 

In altre parole, Evil Dead 2013 praticamente si regge tutto su di lei. Proprio come i precedenti Evil Dead si reggevano su Bruce Campbell; e proprio come Campbell, guarda un po', pure per Jane Levy non è che facciano a gara per offrirgli ruoli importanti. Comunque.

Per farla breve, Evil Dead 2013 inizia mostrando la tipa posseduta e il padre che la brucia nella baita, no? Dunque, va da sé che per trovarsi lì, Necronomicon alla mano e compagnia cantante, il tizio che dà fuoco alla figlia dev’essere necessariamente il prof. Knowby. Perciò, questo è un approfondimento. Punto per Alvarez. Rovescio della medaglia: come prologo non ha senso.

Pure se Evil Dead 2013 è un requel e quindi, per larga parte uno sa perfettamente cosa aspettarsi, se la sequenza iniziale fosse stata usata come flashback, il film ne avrebbe giovato maggiormente. Invece, buttata così, all’inizio, ammazza la suspense. Eliminando quell’alone di mistero che invece potrebbe essere costruito col procedere della storia. Cosa che rende ancor più evidente la bella differenza che passa tra motivazioni e pretesti. 

Se da un lato, vero è che la pappardella della tossicodipendenza è un bell’approfondimento per caratterizzare i personaggi e dargli una motivazione, dall'altro è vero pure che se fosse stata sviluppata maggiormente,  anziché usata come semplice pretesto per riunirli nel luogo della storia, il film avrebbe potuto essere di sicuro molto più divertente. Perché ci sarebbe stata la possibilità di giocare con lo spettatore e lasciarlo col dubbio fino alla fine.

Magari se Alvarez non avesse avuto così tanta fretta di correre allo splatter, mettendoci giusto un pizzichino di cura in più per i dettagli, Evil Dead 2013 ne sarebbe uscito benissimo dato che non è ‘na cosa fatta col culo tanto per tira’ su qualche spicciolo col nome famoso. Anzi. L’originale Evil Dead di Raimi, era puro fanservice. Un gesto d’amore, essenzialmente, di un gruppo di giovani amanti dell’orrore verso il genere stesso.

Evil Dead di Fede Alvarez è più o meno la stessa cosa: puro fanservice. Un gesto d’amore, essenzialmente, di un gruppo di giovani amanti dell’orrore verso un film che ha contribuito a formare un genere intero. Naturale sia quanto più aderente possibile all’originale, eccezionale quanto riesca a sembrare qualcosa di nuovo. 


Ebbene, detto questo anche per oggi è tutto.

Stay Tuned ma soprattutto Stay Retro.






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