NINJA SCROLL - ALL' ANIMA DELL' ANIME


Era il lontano 1993 quando il regista, ex animatore, Yoshiaki Kawajiri se ne uscì con Ninja Scroll. Riuscendo nell’obiettivo di scrivere, disegnare e dirigere un film ispirato alle gesta dell’eroe Jubei Yagyu

Obiettivo reso possibile dal successo del suo primo film, La città delle bestie incantatrici.

Succede però che in patria, a differenza de La città delle bestie incantatrici, Ninja Scroll non ebbe quel gran successo. Giusto quel paio d’anni per farsi il giro e arrivare dalle nostre parti che il film è diventato uno degli anime più popolari di sempre.

Ninja Scroll


Il fatto è che i primissimi anni novanta sono stati un periodo strano. Avevamo già subito l’invasione dei robottoni giapponesi, ma concetti come anime e oav erano ancora poco chiari. E termini come seinen, shojo, majokko e vattelapesca, le tante sfumature che l’animazione giapponese comprende, era un territorio abbastanza sconosciuto.

Per la massa gli anime sarebbero diventati mainstream alla fine del decennio, ma qui parliamo dell’epoca d’oro del Vhs. Non è che uno fosse appassionato e cercasse un film o una serie in particolare, era più un continuo scoprire. In altre parole, ti limitavi a inciampare su quel che passava il convento.


Eh, e che passava il convento? Nichilismo, disperazione, sangue, violenza, brutalità e tette. Soprattutto tette, come se piovesse. Questo significa che la maggioranza di questa “roba giapponese” era forse poco adatta al giovanissimo pubblico dei cartoni animati.

C’era veramente di tutto, tipo Perfect Blu, Mad Bull 34, Angel Cop, Genocyber, Kite… Quest’ultimo, tanto per dire, è pure uno dei film preferiti di Quentin Tarantino. La parte animata in Kill Bill Vol.1, no, quella riguardo il passato di O-Ren Ishii? Ecco, praticamente è basata su Kite.

Probabilmente, anzi, fai sicuramente, proprio Ninja Scroll, insieme a Ghost in the Shell e Akira, ha contribuito all’ascesa degli anime tra il pubblico occidentale. Per quanto paradossale, tra scene grottesche di violenza, sesso totalmente gratuito e azione non-stop, Ninja Scroll era quanto di più accessibile per noi.


La trama di Ninja Scroll è piuttosto semplice. Ambientato durante il periodo Edo, la storia segue il ronin Jubei Kibagami. Che per caso e per sfortuna salva la ninja Kagero dall’essere stuprata da Tessai, un tizio più mostro che uomo in grado di trasformare la sua pelle in roccia.

Precedentemente Tessai aveva massacrato tutta la squadra dei ninja Kouga (di cui Kagero è, appunto, l’unica sopravvissuta), inviata a indagare su un misterioso incidente che aveva spazzato via un intero villaggio. Viene fuori che Tessai è uno degli Otto demoni di Kimon.

I demoni sono un gruppo di superninja assoldato da Toyotomi per rovesciare lo shogunato Tokugawa. Uccidendo Tessai, Jubei si trova coinvolto, per lo più costretto da Dakuan, una spia dei Tokugawa, in una cospirazione politica enorme. Oltre che a dover lottare contro gli Otto demoni di Kimon, ovviamente.


Lo scopo di Kawajiri era quello di portare sullo schermo una storia riguardante Jubei Yagyu,  una delle tipiche figure eroiche della cultura giapponese, a metà fra storia e leggenda come Kojirō Sasaki o Musashi Myamoto, tanto per dirne un paio. Ed è proprio questo il punto: a metà fra storia e leggenda.

La storia si basa prevalentemente su Kouga Ninja Scrolls. Un romanzo del 1958 scritto da Futaro Yamada, in cui si racconta la storia d’amore fra un ninja e una kunoichi (ninja donna) appartenenti a clan rivali. Tutto molto Romeo e Giulietta. La particolarità riguarda il contesto, più che il presupposto.

Lo shogun Tokugawa Ieyasu, nel tentativo di risolvere una controversia riguardo quale dei suoi nipoti diventerà il prossimo shogun, revoca il trattato di non ostilità tra i clan ninja Iga e Kouga. Solo che entrambi i clan si sono dedicati per decenni all’eugenetica.


In questo modo i membri degli Iga e dei Kouga sono riusciti a sviluppare abilità sovrumane. Il rovescio della medaglia è che sono dei freak con mutazioni anomale…

In parte thriller politico in parte action-horror, Ninja Scroll esplora sia molti dei soggetti tradizionali della cultura storica, sia della recente cultura pop degli anime. Questo è il bello: i film non sono altro che un modo per raccontare storie, e le storie possono influenzarci in tanti modi diversi.

Alcuni film vengono realizzati con il chiaro scopo di spingere su determinate emozioni, mentre altre ancora vogliono portarti a riflettere sui significati profondi della vita. Ninja Scroll non è niente di tutto ciò: è una corsa matta e disperatissima da un assurdo nemico all’altro. Nel frattempo, ai lati, a velocità videogame sfreccia la politica del Giappone feudale.


Il trionfo dello stile sulla sostanza, che piega e sfrutta a convenienza la realtà, senza mai lasciare che si intrometta nel fantastico. Una comprensione maggiore del folklore e dei miti della cultura giapponese potrebbe rivelare un sottotesto più stratificato. Potrebbe, ma sarebbe comunque inutile.

Il tono del film viene impostato da subito con Tessai che massacra i ninja e poi tenta di stuprare Kagero. Il ritmo da videogame, con Jubei che appena ne ammazza uno passa subito al nemico successivo, porta a una narrazione serrata. Non profondissima, giusto quel tanto che basta.


Questo è il punto di forza di Ninja Scroll: Kawajiri sapeva esattamente cosa voleva. Evitando di nascondersi dietro a un dito, fingendo di farla più profonda di quanto non sia in realtà. Non è che in virtù del fantastico le cose devono essere per forza tipo Pacific Rim, per dire.

Cioè, senza nemmeno far finta ci sia un miserabile straccio di storytelling a tenere con lo sputo una specie di clip show. Però non bisogna neppure andare all’altro estremo come Evangelion. Tutta quell’impalcatura di pippe e pippette fanta-psico-religiose per giustificare quattro schiaffi fra robot giganti è esagerata.

Per questo, quasi trent’anni dopo, Ninja Scroll funziona quanto e forse più di prima. Tutto, dalla storia all’animazione, si adatta allo stampo per cui questo film è stato progettato. Tagliando e limando finché ogni cosa funzionasse nel modo più fluido possibile. Il resto, quel che c’è in mezzo nell’interesse di Kawajiri di fondere la realtà con la fantasia, è grasso che cola.


Ebbene, detto questo credo sia tutto.


Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

Commenti

Le due righe più lette della giornata