NIRVANA - SALVATORES CYBERPUNK

Nirvana. Sì, Nirvana è strano. Non tanto in sé per sé, quanto semmai per il fatto che Nirvana è innanzitutto un film di Gabriele Salvatores. Sì, lo stesso di Marrakech Express, di Puerto Escondido. Quello che nel 1991 vinse l’Oscar con Mediterraneo

Metti, la sola idea che uno come lui, un regista “impegnato”, se ne possa uscire con un film di fantascienza vera e propria è… insomma, strano. Ché in qualunque modo la si voglia mettere, qui da noi la science fiction è considerata da sempre un genere, al massimo, per bambini.

Il Nirvana italiano



Per dire, prendi Il nome della rosa di Umberto Eco, no? Un romanzo eccezionale, ambientato agli inizi del Trecento, segue Guglielmo da Baskerville e il suo allievo, il novizio Adso, impegnati nel tentativo di far luce su 'sta serie di orribili omicidi in un monastero benedettino sperso tra i monti.

Ecco, una delle particolarità che rendono grande Il nome della rosa è il fatto che i protagonisti si muovono in un contesto storico estremamente dettagliato. In questo senso, molto chiara la forbice sociale dell’epoca.

Tipo, da un lato c’è il clero. Letterati istruiti, studiosi e pensatori. Dall’altro, il mobile vulgus. La plebaglia, praticamente. Rozzi, zozzi e analfabeti, definiti "semplici". Il panorama cinematografico italiano è più o meno così.

Da un lato, c’è il cinema, presumibilmente, d’autore. Appannaggio della classe istruita e impegnata. Dall'altro, la gioia del popolo. Il panem et circenses che fa felici le masse di semplici: le commedie scrause. Molte delle quali divertenti come 'na carriera da indossatore di malattie veneree.


Nel mezzo c’è tutto il resto, a cui si dà poca o nessuna importanza; e qui il cruciale busillis. Cioè, come considerare Nirvana, un film di fantascienza, genere di cui frega meno di zero qui, ma girato da un autore come Gabriele Salvatores?

Chiuso nella sua stanza d’albergo del Chelsea Hotel a Bombay City, Jimi Dini (Christopher Lambert), ascoltando per l’ennesima volta il messaggio di Lisa (Emmanuelle Seigner) in cui cerca di spiegare perché vuole lasciarlo, inizia a raccontare perché si trova lì.

Subito dopo, in una specie di deposito, Solo (Diego Abatantuono) trova il numero di telefono di una certa Maria (Amanda Sandrelli). Mentre contatta la donna, Solo ha una strana impressione.

Come in un déjà vu, ha la forte impressione che 'sta cosa sia già successa. Lui che si trova nel magazzino, prende il numero e chiama la donna. Gli pare di averla già vista, di averle già parlato.

Neanche il tempo di prendere appuntamento con la tizia, al massimo capire cosa stia succedendo, che Solo viene raggiunto da un tipo che senza tanti complimenti piglia e l’accoppa.

Agglomerato urbano del nord, tre giorni prima di Natale. Il flashback continua con Jimi ancora impallato a pensare a Lisa. Si dà 'na svegliata quando un promo audio gli ricorda che deve spicciarsi. 

Perché Jimi è un programmatore che sta lavorando al suo ultimo videogame chiamato (da qui il titolo del film) Nirvana.

L’uscita di Nirvana è prevista per Natale e Jimi è impegnato a portare gli ultimi ritocchi al gioco prima della consegna. Tuttavia, Jimi soffre pure di un particolare disturbo: la sindrome de Lo Faccio Dopo. Abbastanza comune a dir il vero, ma tant’è.

Ed ecco che si presenta Corvo Rosso (Claudio Bisio), un tassista che porta a Jimi la sua ordinazione di marijuana liquida.

Sparacchiatasi la dose dritta nella narice, Jimi si rimette al lavoro. Di nuovo appare Solo. Lo stesso magazzino, lo stesso numero, la stessa Maria.

L’unica differenza è che stavolta Solo uccide il pittoresco tipo dai capelli viola di prima; e qui parte l’inghippo: Solo è il protagonista di Nirvana, il videogioco a cui Jimi sta lavorando.

Non si sa come, un virus ha infettato il codice e ora Solo è cosciente di sé, di quello che gli accade e della ripetitività incessante del mondo in cui si trova. Un incubo, praticamente. Trovatosi in contatto col suo creatore, Solo gli chiede di cancellarlo per sempre.

Resosi conto della situazione, Jimi accetta. Problema: Nirvana è di proprietà della Okosama Starr, potente zaibatsu per cui Jimi lavora. Quindi, c'è solo un modo per superare le difese ed entrare nel sistema della Okosama per cancellare Nirvana prima del rilascio.

L’unica possibilità che ha Jimi per bucare il firewall della Okosama è chiedere l’aiuto di un “angelo”. Tra l'altro, angelo è il nome gergale con cui sono conosciuti gli hacker. Recatosi in una specie di suq, Jimi recluta uno degli angeli più famosi: Joystick (Sergio Rubini).


Nel frattempo, nel mondo virtuale di Nirvana, Solo è arrivato al secondo livello e si trova a casa di Maria. Che cerca di farle capire che la loro vita non è reale. Nel tentativo di passare il livello, Solo viene ucciso per l’ennesima volta. 

Nella realtà, invece, Jimi e Joystick si mettono alla ricerca di Naima (Stefania Rocca), un’esperta di hardware in grado di aiutarli a bucare le difese della Okosama. Una volta messa su la squadra e varie vicende dopo, il flashback termina.

La trama riprende la narrazione al tempo reale, la camera d’albergo in cui Jimi, insieme a Joystick e Naima, tenta di entrare nel sistema della zaibatsu. Bene. Tornando al punto: com’è Nirvana?

La prima lampante impressione che si ha guardando Nirvana è che sia un film estremamente derivativo.

Due sono le opere che hanno definito i canoni del genere: Blade Runner di Ridley Scott, diventato per antonomasia il futuro distopico neo-noir, e Neuromante. Il romanzo di William Gibson, a cui si deve la nascita del filone cyberpunk.

Ridendo e scherzando, metti che 'ste due opere risalgono, rispettivamente, al 1982 l'una e al 1984 l'altra. Certo non è roba di ieri, insomma. Nirvana è uscito nel 1997. Nella quindicina e passa d'anni che separa Nirvana dai primi due, ne so' uscite di cose che voi umani non potreste immaginarvi.

Fino alla fine del mondo, Freejack, oppure Ghost in the Shell, Johnny Mnemonic e Strange Days, tanto per dirne un paio. Tutta roba che, in un modo o nell’altro, chi più chi meno, paga pegno a Blade Runner e Neuromante. 

Tutta roba che, in un modo o nell'altro, Nirvana accorpa in sé, unendo quasi trent’anni di topoi del genere. Oh, e ci sono tutti, eh. Nirvana non se ne perde manco uno per strada. Dalla variegata kermesse di umanità stipata in megalopoli distopiche, alle insegne al neon, di ogni tipo, delle multinazionali che ormai regnano.

Che te lo dico a fare, Giappone ovunque, guardie armate dappertutto pure… Non manca proprio niente, insomma. Tuttavia, com’è che si dice… in scena non ci vai, se la grana non ce l’hai, giusto? Giusto.

Su carta, ovviamente, non ci sono limiti alla fantasia. In pratica è tutto un altro paio di maniche. Sì, vero che dipende molto pure dal genere, però, in linea di massima, uno dei grandi problemi della fantascienza riguarda i dindini.

In altre parole, se non c'hai il budget per mettere in pratica, in modo adeguato, creare tutto ciò che hai immaginato in modo convincente, il più delle volte il risultato è quello di far ridere i polli; e nel caso del Nirvana, le "restrizioni economiche" sono evidenti. 

Prendi Il grande Agglomerato del Nord, per dire: non è altro che lo stabilimento abbandonato dell’Alfa Romeo di Portello a Milano. Oppure l’intera storia, il suo svolgimento, si dipana giusto in due stanzette usate come location.

La maggior parte dei film di fantascienza che vediamo sono americani. Metti un po’ perché la stragrande maggioranza delle cose del cinema e della tv viene importata da lì, metti che gli yankee sono quelli che c'hanno i soldoni da spendere, et voilà!

Pacchi di film a pochi cent la tonnellata, pieni di Cgi, dal ritmo veloce e sequenze d’azione schizofreniche. Noi, in Italia, almeno fino a un paio di decenni fa, non abbiamo fatto altro che cercare la giustapposizione alle cose degli yankee. 

Tra un Lino Banfi che si lava con i sedani recitando occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, e un Alvaro Vitali che usciva dalla classe con il fischio o senza, lì, buttati in mezzo a questa paccottiglia per noi plebei c’era tutta una serie di persone che cercavano la loro America.

Bruno Mattei, Sergio Martino, Antonio Margheriti… individui relegati a un genere ingiustamente considerato minore. E tutti cautelativamente firmatisi ogni volta sotto pseudonimi americaneggianti: Vincent Dawn, Martin Dolman, Ted Archer e cose così. 

Magari perché convinti, in questo modo, di avere una maggiore credibilità.

La differenza tra il Nirvana di Gabriele Salvatores e tutto questo? Semplicemente che Nirvana, mai, neanche per una sola volta, finge di essere ciò che non è: un film americano.

Chiaro che lo sguardo sia rivolto lontano, oltreoceano. Così come il primo e più ovvio punto di riferimento per Nirvana sia Blade Runner. Salvatores se la gioca sul cosa significa essere umani, il futuro distopico perma-serale e multiculturale. 

Tuttavia, a differenza di Blade Runner, Nirvana porta al massimo la globalizzazione: dove in un posto solo ci sono dei micro-mondi a se stanti chiamati Shangai-town, Bombay City, Marrakech. Tutti parte della stessa metropoli tentacolare, che presentano ognuno uno stile culturale specifico.

Proprio questo è Nirvana: un micro-mondo a sé. Che nel suo racchiudere intrinsecamente tutti questi elementi così diversi non rinnega mai la propria identità. Salvatores non ha bisogno di firmarsi con uno pseudonimo. Per credibilità o vergogna che sia.

Al fianco di Connor MacLeod, così bello, così americano, così lontano, non c’è un cast eccezionale di stelle del cinema. No, ci sono gli interpreti del cinema italiano: gente grezza e brutta. Come Paolo Rossi, Silvio Orlando, Claudio Bisio. E nella loro bruttezza, sono tutti bellissimi.

Forse a suo tempo, venticinque anni fa, Nirvana sarà pure passato quasi inosservato agli occhi del mondo. Potrà pur avere un sacco di difetti (perché ne ha, e tanti) ma ciò non toglie che, a guardarlo con il proverbiale senno di poi, questo è il migliore, se non forse l’unico, vero film di fantascienza italiano.


Ebbene detto questo, credo sia tutto.


Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.


 





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